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Categoria: Diritto civile e commerciale

Articoli di diritto civile e commerciale


Attenzione a imputazione somme pagate dal socio in società

DOMANDA: Siamo quattro soci di una società che gestisce un salone di parrucchieri. A causa del coronavirus ho dovuto tirare fuori soldi di tasca mia per sostenere la società in questi mesi difficili, versandoli sul conto corrente societario. Quando potrò riaverli indietro?

COSA DICE LA LEGGE: Dipende dall’imputazione che lei ha dato a questi versamenti nel conto societario.

Infatti, anche recentemente la Corte di Cassazione Civile (Sez. I, 20 Aprile 2020, n. 7919) ha chiarito che solo nell’ipotesi in cui l’erogazione di somme in favore della società da parte del socio sia avvenuta a titolo di mutuo, con conseguente obbligo di restituzione ad una determinata scadenza, sorgerà in capo al sodalizio un’obbligazione di tipo restitutorio.

In pratica, se è stato a suo tempo redatto un verbale dei soci nel quale era stato stabilito che quello da lei effettuato era un vero e proprio prestito nei confronti della società, non necessariamente produttivo di interessi, ma comunque con un termine di restituzione ben preciso, allora in tal caso lei non dovrà far altro che attendere lo spirare della data convenuta per domandare la restituzione del proprio denaro.

Se, invece, il suo versamento era semplicemente destinato a confluire sul conto corrente societario a titolo di riserva per eventuali necessità dell’azienda, allora il suo credito nei confronti della società non sarà esigibile. Né ora, e neppure nel prosieguo della vita del sodalizio a cui appartiene assieme ai suoi tre soci.

In tale, per lei malaugurato, caso, lei potrà ricevere in restituzione quanto versato soltanto nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione, e quindi non prima che tutti gli eventuali creditori societari siano stati integralmente soddisfatti di tutte le loro spettanze. Lo stabilisce espressamente l’art. 2467 del Codice Civile, il quale giustappunto posterga le restituzioni dei finanziamenti dei soci rispetto ai pagamenti, tutti compresi e nessuno escluso, che la società deve effettuare nei confronti dei terzi.

Conseguentemente, appare sempre opportuno, prima di procedere a esposizioni personali nei confronti della società a cui si appartiene, consultarsi con un legale che saprà offrire la soluzione migliore per evitare conseguenze pregiudizievoli per sé stessi.

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Vizi e difetti di beni acquistati in asta giudiziaria

DOMANDA: Ho acquistato alcuni orologi in un’asta giudiziaria. Erano stati descritti nell’avviso d’asta come orologi automatici. Effettivamente lo sono, ma presentano dei difetti al loro interno che richiedono una manutenzione molto costosa, non giustificata dal prezzo di acquisto. Sono tutelato in qualche modo?

COSA DICE LA LEGGE: Purtroppo, nel caso da lei illustrato, nel quale i beni acquistati, seppur bisognosi di manutenzione, mantengono comunque le qualità in forza delle quali gli orologi erano stati acquistati, lei non potrà ricevere opportuna tutela e conseguentemente non potrà agire per la risoluzione del contratto o per la riduzione del prezzo di acquisto.

Infatti, l’art. 2922 del Codice Civile stabilisce espressamente che non ha luogo la garanzia per vizi della cosa, normalmente prevista dall’art. 1490 del Codice Civile, nella vendita forzata. E per vendita forzata si intende proprio la vendita all’asta a seguito di pignoramento mobiliare, oppure più in generale nella vendita di beni mobili gravati da pegno.

Non solo. E’ esclusa anche l’applicazione dell’art. 1497 del Codice Civile, il quale prevederebbe che nel normale contratto di compravendita, qualora la cosa venduta non abbia le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l’uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto.

Diverso è il discorso qualora si fosse in presenza del cosiddetto aliud pro alio. In tale caso si verifica allorquando il bene acquistato all’asta appartenga ad un genere del tutto diverso da quello indicato nell’ordinanza di vendita, o manchi in toto delle caratteristiche essenziali per poter proficuamente assolvere alla propria natura funzione economico-sociale. Ebbene, in dette circostanze si potrà agire per la risoluzione del contratto.

Vero è, tuttavia, che appare evidentemente buona norma esaminare con attenzione il bene per il quale si intende concorrere all’acquisto all’asta.

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Lo sfratto per morosità e il termine di grazia

DOMANDA: Ho ricevuto la notifica di uno sfratto per morosità. Purtroppo sono disoccupato, e non sono riuscito a rimanere in pari con gli affitti. Però è anche vero che una parte la pago in nero. Io vorrei continuare a rimanere dove abito, ma il padrone di casa non mi concede una rateizzazione in attesa che trovi un nuovo lavoro. Cosa posso fare?

COSA DICE LA LEGGE: Quello che lei può fare è recarsi in Tribunale nel giorno di udienza indicato nell’atto di citazione e chiedere al Giudice che le conceda il cosiddetto “Termine di grazia”, espressamente previsto dall’art. 55 della Legge n. 392/1978.

Il termine di grazia consiste nella concessione al conduttore dell’immobile di un lasso di tempo utile per saldare il debito accumulato nei confronti del locatore.

Sono doverose, tuttavia, alcune precisazioni: anzitutto il termine di grazia può essere concesso solo in presenza di sfratti per morosità relativi ad immobili ad uso abitativo. Rimangono esclusi, quindi, quelli commerciali.

Inoltre, è necessario che conduttore nell’ultimo quadriennio non abbia già goduto in più di due occasioni di altrettanti termini di grazia nei confronti del medesimo proprietario dell’immobile.

Il termine di grazia non può essere superiore a 90 giorni, a meno che il conduttore non provi in udienza che le difficoltà finanziarie siano maturate in conseguenza di precarie condizioni economiche, insorte dopo la stipulazione del contratto di locazione, e siano dipese da sopravvenuta disoccupazione, malattie o gravi e comprovate condizioni di difficoltà. In tal caso può arrivare fino a 120 giorni, e può essere concesso anche se nell’ultimo quadriennio sia stato già ottenuto per non più di tre volte.

Qualora il conduttore moroso, entro il termine di grazia così ottenuto, saldi l’intero ammontare di tutti i canoni scaduti e non pagati, gli interessi legali maturati e le spese legali sostenute dal locatore per l’avvio della procedura giudiziale di sfratto, questi potrà continuare a dimorare nell’abitazione presa in affitto.

A tal fine, il Giudice, allorquando concede il termine di grazia fissa anche una udienza, in data successiva, per la verifica dell’adempimento delle obbligazioni di pagamento gravanti sul conduttore. Qualora, infatti, quest’ultimo non sia riuscito a saldare il dovuto, verrà giocoforza convalidato lo sfratto.

Attenzione: se si chiede il termine di grazia non si potrà anche, parimenti, contestare il diritto del locatore a ricevere le somme, come precisate, nel loro ammontare, in occasione dell’udienza di sfratto. Delle due l’una, quindi: o si chiede la dilazione, oppure si contesta l’ammontare del debito e/o il diritto ad agire per la liberazione dell’immobile. In tale ultimo caso si apre un vero e proprio processo, nel quale, tuttavia, il giudice si riserverà immediatamente se, nel frattempo, concedere o meno lo sfratto richiesto dal proprietario dell’immobile. E ovviamente non si potrà più godere della concessione di un termine per sanare la morosità.

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Il procedimento di mediazione

DOMANDA: Ho ricevuto una comunicazione da parte di una certa Camera di Conciliazione di presentarmi ad un incontro di mediazione che è stato richiesto dal mio ex padrone di casa, che mi domanda il risarcimento di danni all’appartamento che avevo in affitto. Che cos’è questa mediazione? Come mi devo comportare?

COSA DICE LA LEGGE: Il procedimento di mediazione è stato introdotto dal Decreto Legislativo n. 28/2010 ed è stato fortemente voluto dal Legislatore al fine di ridurre il contenzioso giudiziario mediante l’istituzione di un procedimento che precede la causa vera e propria, e che si svolge presso determinati organismi di mediazione, espressamente autorizzati dal Ministero di Grazia e Giustizia.

In buona sostanza, se un soggetto vuole promuovere una causa rientrante nell’ambito di alcune particolari materie, prima di procedere è sempre obbligato a tentare una conciliazione in sede non contenziosa. Queste le materie per le quali la legge prevede questo tentativo:

– materia condominiale

– diritti reali (ad esempio compravendita di immobili, usufrutto, servitù, ecc…)

– divisione

– successioni ereditarie

– patti di famiglia

– locazione

– comodato

– affitto di azienda

– risarcimento danni da responsabilità medica e sanitaria

– risarcimento danni da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità

– contratti assicurativi, bancari e finanziari

Naturalmente, il tentativo di mediazione davanti a questi organi può essere promosso anche per qualunque altra materia, con la differenza, in quest’ultimo caso, che non vi è alcun obbligo normativamente previsto.

Il procedimento si promuove mediante ricorso all’Organismo di mediazione territorialmente competente – la competenza è la stessa della successiva, eventuale, causa di merito – e prevede la corresponsione di una indennità di avvio di mediazione, solitamente pari ad € 40,00 + Iva. Nel ricorso devono essere indicati i dati di tutte le parti coinvolte, le ragioni della pretesa ed eventuale documentazione a sostegno della domanda.

Il ricorso viene poi comunicato alle parti chiamate unitamente alla data di primo incontro fissata dall’Organismo di mediazione, affinché i soggetti chiamati possano, a propria volta, depositare una memoria contenente le proprie difese. I chiamati non sono obbligati a partecipare alla mediazione. In caso di mancata adesione, la parte attivante sarà a quel punto autorizzata a promuovere la causa civile, e qualora, al termine del procedimento giudiziale, la domanda così proposta dovesse essere accolta, i soggetti che non avevano partecipato al procedimento di mediazione potrebbero essere condannati per responsabilità processuale.

È preferibile, quindi, aderire sempre e comunque al procedimento di mediazione. Quantomeno al primo incontro. In detto caso, la partecipazione richiederà il pagamento di € 40,00 + Iva anche da parte dei soggetti chiamati.

Al primo incontro, il Mediatore individuato dall’Organismo di mediazione per la gestione del procedimento, si limiterà a chiedere ai partecipanti la loro disponibilità a proseguire nell’attività conciliatoria mediante fissazione di ulteriori incontri, il tutto ovviamente finalizzato a transare bonariamente la controversia mediante reciproche rinunce alle rispettive pretese. Se tutte le parti manifesteranno adesione in tal senso, dovranno pagare un ulteriore indennizzo all’Organismo di mediazione, variabile a seconda del valore della causa.

Possono, pertanto, verificarsi le seguenti ipotesi:

  1. Non tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, formulata al primo incontro, di proseguire la mediazione, e in tal caso l’intero procedimento si conclude, ed ognuna delle parti sarà libera di promuovere la causa;
  2. Tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore di coltivare il procedimento, ma nonostante l’impegno e l’intervento di quest’ultimo profuso nel corso di successivi incontri, non si addiviene ad un accordo. Anche in tal caso, la mediazione si conclude con esito negativo, ed ognuna delle parti sarà libera di promuovere la causa;
  3. Tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore di coltivare il procedimento, e questo si conclude mediante la sottoscrizione di un atto di transazione. A quel punto, la causa civile non sarà più necessaria, e l’atto di transazione così sottoscritto avrà valore di titolo esecutivo, al pari di una sentenza.

Il procedimento di mediazione non può avere una durata superiore a tre mesi, salvo accordo di tutte le parti, e durante lo svolgimento del procedimento i termini di prescrizione rimangono sospesi.

Tutti gli atti e i verbali del procedimento di mediazione sono coperti da segretezza, e tutti i soggetti che vi partecipano non possono poi fungere da testimoni nella eventuale successiva causa.

Le spese pagate all’Organismo di mediazione, fino ad un determinato limite, costituiscono credito d’imposta.

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Patrocinio a spese dello Stato

DOMANDA: Buongiorno, devo fare una causa ai miei fratelli per una eredità, ma sono disoccupato e non ho reddito. Come posso fare per avere l’avvocato d’ufficio?

COSA DICE LA LEGGE: Quello che lei definisce “avvocato d’ufficio” è, in questo specifico caso, il cosiddetto patrocinio a spese dello Stato. Ovvero quell’istituto che consente ai meno abbienti di poter agire in giudizio a tutela dei propri diritti per il tramite di un avvocato che sarà, poi, pagato direttamente dal Ministero di Giustizia.

La domanda si propone direttamente all’Ordine degli Avvocati territorialmente competente. Ovvero quello del luogo dove si dovrà tenere la causa, che spesso non coincide neppure con il luogo di residenza dell’interessato. Nell’istanza dovranno essere spiegate le ragioni della domanda giudiziale, affinché il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati possa effettuare una prima valutazione della possibile fondatezza, almeno potenziale, dell’azione giudiziale. Qualora, infatti, la causa fosse priva delle seppur minime basi giuridiche, sarà giocoforza negato l’accesso al patrocinio a spese dello Stato in favore del richiedente.

A corredo della domanda, l’istante dovrà allegare anche documentazione comprovante il proprio reddito, che non potrà essere superiore ad oggi, ad € 11.493,82. Non si contano, in questo caso, i dati del modello Isee. Nel computo del reddito si dovrà, altresì, tenere conto della somma dei redditi di tutto il nucleo familiare, così come risultante dal certificato di residenza e di stato di famiglia. Solo ed esclusivamente nell’ipotesi in cui la causa da intentare sia rivolta proprio nei confronti di uno degli altri soggetti del proprio nucleo familiare – ad esempio una causa di separazione giudiziale – si potrà non tenere conto del reddito complessivo dei conviventi sotto il medesimo tetto.

Va, inoltre, comunicata, tra l’altro, anche la proprietà, per intero o pro quota, di beni immobili.

In caso di accoglimento della domanda, l’interessato potrà poi scegliere di essere difeso da un qualunque legale, a condizione, però, che appartenga al medesimo foro dell’Ordine degli avvocati presso cui è stata presentata la domanda, e che sia iscritto alle apposite liste dei difensori abilitati alle difese con patrocinio a spese dello Stato, facilmente reperibili presso i siti dei vari Ordini.

Da evidenziare che i requisiti di reddito per usufruire del patrocinio a spese dello Stato dovranno permanere, annualmente, per tutta la durata dell’attività svolta dall’avvocato. Qualora, quindi, in corso d’opera il beneficiario, ivi compreso il suo nucleo familiare, dovesse sforare la soglia di reddito di cui sopra, perderà automaticamente il diritto acquisito e dovrà retribuire di tasca propria il legale. Occorre, quindi, prestare sempre grande attenzione, poiché il rilascio di dichiarazioni mendaci circa la propria capacità reddituale, oltre alla revoca del beneficio, determina conseguenze penali anche gravi.

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Assegno a garanzia

DOMANDA: Sono un piccolo imprenditore edile. Ho intenzione di subappaltare alcuni lavori ad un artigiano, che però per cominciare i lavori mi chiede un anticipo e anche un assegno a garanzia del saldo, pretendendo che sia senza data, in modo da poterlo completare ed incassare in caso di mancato pagamento. E’ un comportamento corretto?

COSA DICE LA LEGGE: Consegnare un assegno bancario, a titolo di garanzia, ad un determinato soggetto non è, in linea di principio, vietato dalla legge, a condizione, tuttavia, di rispettare alcuni accorgimenti. Vediamoli.

Anzitutto, indicare nell’assegno una data successiva a quella di consegna materiale del titolo, non sarebbe per lei conveniente. Infatti, il suo subappaltatore potrebbe incassarlo immediatamente, e ciò indipendentemente dalla data ivi indicata. Infatti, a seguito della riforma di cui al decreto legge n. 507/99, che ha depenalizzato il reato di emissione di assegno postdatato, il titolo in questione ha assunto le medesime caratteristiche di una cambiale, e come tale può essere incassato immediatamente, con la sola trattenuta, da parte dell’Istituto di Credito, di un importo pari al dodici per mille, ovvero la somma corrispondente all’imposta di bollo applicata sui documenti cambiari. Peraltro, eventuali accordi tra le parti volti a stabilire il giorno dell’incasso sono nulli.

Anche la consegna di un assegno privo di data può determinare conseguenze pregiudizievoli. Si tratta, infatti, di un titolo invalido in quanto incompleto. Pertanto, solo al momento della successiva apposizione della data diventerà un assegno regolarmente compilato. Ma se ad apporre, la data è proprio il soggetto che materialmente deteneva l’assegno già sottoscritto ma incompleto, o, peggio, il cassiere della banca, non possono essere trascurati i rischi penali, e in particolare la configurazione del reato di falso in titoli di credito di cui agli articoli 485 e 491 del Codice Penale.

Una soluzione potrebbe essere quella di consegnare ad un terzo, d’intesa con il suo subappaltatore, un assegno bancario, privo di data, a titolo di deposito fiduciario. Con espresso accordo scritto che deleghi il terzo a completare l’assegno in questione in un determinato momento e solo al verificarsi di una determinata condizione, e successivamente di consegnarlo al subappaltatore.

Si tratta, vale la pena evidenziarlo, di modalità che richiedono l’assistenza di un legale, e pertanto appare rischioso, in questi casi, il semplice fai da te.

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Cause contro i consumatori solo nel loro luogo di residenza

DOMANDA: Qualche tempo fa ho acquistato un servizio di invio mensile di foto da poter utilizzare per la mia attività artistica amatoriale, da una società che ha sede in Olanda. Inizialmente andava tutto bene, poi hanno cominciato a inviarmi poco materiale e di scarsissima qualità. Vorrei recedere ma mi hanno minacciato che se non pago le mensilità ancora dovute fino alla fine del contratto, mi faranno causa in Olanda. Io non ho intenzione di proseguire questo contratto, ma di certo non posso andare a trovarmi un avvocato olandese. Cosa rischio?

COSA DICE LA LEGGE: Dalla sua descrizione, risulta che lei non svolge questa sua attività artistica a livello professionale, bensì amatoriale. Conseguentemente, lei può godere dello status di “consumatore”. Sempre leggendo la domanda, emerge che invece il suo contraente è un’impresa, ovvero un soggetto che esercita l’attività di cui all’oggetto del contratto, per scopi professionali. Si tratta, quindi, di un “professionista”.

Ebbene, in caso di controversia insorta in ordine all’interpretazione ed esecuzione di un contratto stipulato tra consumatore e professionista, come nel suo caso, è sempre competente in via esclusiva il foro del consumatore. Ovverosia il Foro del suo luogo di residenza.

Lo stabilisce chiaramente l’art. 18 del Regolamento UE n. 1215/2012, il quale dispone che l’azione dell’altra parte del contratto contro il consumatore può essere proposta solo davanti alle autorità giurisdizionali dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il consumatore. La norma è stata poi ripresa, nel suo contenuto, dall’art. 33 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005).

Pertanto, anche qualora dovesse mai ricevere la notifica di un atto introduttivo di un procedimento civile nei suoi confronti in Olanda, potrà certamente far valere la suddetta eccezione processuale. Qualora si verificasse una circostanza del genere, tuttavia, il consiglio è evidentemente quello di rivolgersi ad un legale.

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Come impedire le telefonate pubblicitarie

DOMANDA: Ogni giorno ricevo decine di telefonate al mio telefono fisso, da parte di aziende che pubblicizzano i loro servizi. La situazione sta diventando drammatica, al punto che durante i pasti stacco il telefono, con il rischio di non ricevere però le telefonate che mi interessano.

COSA DICE LA LEGGE: Anzitutto lei può iscriversi al Registro delle Opposizioni istituito dal Ministero dello Sviluppo Economico ed attivo dal 01 febbraio 2011. Il registro, facilmente reperibile sul web, le consente di inserire il suo numero di telefono tra quelli a cui è impedito rivolgere telefonate pubblicitarie, o comunque ascrivibili ad operazioni di marketing. Il divieto, però, si limita alle operazioni pubblicitarie che si fondano sul reperimento degli indirizzi telefonici direttamente da registri pubblici.

Sul punto occorre, infatti, effettuare una precisazione. Le aziende che intendono porre in essere una campagna di marketing telefonica, hanno due strade a disposizioni, e possono deciderle di batterle alternativamente, o cumulativamente. La prima è quella che prevede, come anticipato, la raccolta dei numeri telefonici da contattare tramite elenchi pubblici – le Pagine Bianche sono l’esempio più calzante –, mentre la seconda contempla l’utilizzo di banche dati in relazione alle quali il titolare del numero telefonico abbia previamente rilasciato il proprio consenso ad operazioni commerciali di codesto tipo.

E’ il caso, ad esempio, che si verifica allorquando nella compilazione di un modulo per l’autorizzazione al trattamento dei dai personali, l’utente spunti o flagghi – nel caso di questionari online – anche l’opzione che consente l’invio di materiale pubblicitario. Peraltro, molto spesso, queste opzioni consentono al gestore dei dati personali di girare queste banche dati, sovente a titolo oneroso, anche ad altri soggetti. E’ proprio per questa ragione che anche una singola autorizzazione di siffatto tipo può essere foriera di un numero elevatissimo di contatti pubblicitari tramite telefono.

Cosa fare in questi casi? Il consiglio, oltre a comunicare il proprio dissenso al ricevimento di telefonate commerciali, è quello di domandare al call center l’invio di copia del documento comprovante l’autorizzazione al trattamento dei propri dati personali, in ossequio anche a quanto espressamente previsto dal Regolamento UE n. 679/2016. Si tratta di un obbligo di legge, e in caso di rifiuto è ammesso anche il ricorso ad una vera e propria ingiunzione giudiziale (vedasi ad esempio decreto ingiuntivo n 9950/2018 – n. 10501/2018 R.G. del Giudice di Pace di Milano). Nei confronti di chi? Il reticolato normativo che sottende a questo tipo di pratiche commerciali particolarmente invasive obbliga ormai i call center a rendere visibile il numero di telefono da cui la telefonata proviene, con ciò rendendo molto più agevole risalire all’autore dell’eventuale abuso.

Nei casi più gravi, infine, è possibile segnalare la circostanza anche al Garante della Privacy.

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La prescrizione presuntiva del conto di ristoranti ed alberghi

DOMANDA: Gestisco un ristorante, e tempo addietro ho fatto un accordo con una impresa edile per dare da mangiare a pranzo ai loro operai ad un prezzo prefissato per un periodo di circa un mese. A fine mese ho emesso una fattura moltiplicando il prezzo concordato per il numero di coperti. Non mi stanno pagando, e qualche mio collega mi dice che non posso fare nulla perché sono trascorsi più di sei mesi.

COSA DICE LA LEGGE: A stretto rigore di diritto, e in particolare del dettato dell’art. 2954 del Codice Civile, il suo credito si sarebbe effettivamente prescritto. Si applica, infatti, nel caso di specie, la prescrizione presuntiva, che in materia di diritto di albergatori e osti per alloggio e vitto, indica in sei mesi dalla conclusione della prestazione il termine per reclamare il dovuto.

Occorre, tuttavia, effettuare alcune precisazioni che, forse, potrebbero offrirle qualche chance in più di recuperare il dovuto.

Anzitutto la prescrizione presuntiva opera diversamente da quella ordinaria, nel senso che vi è solo la presunzione che se il credito di un oste o di un albergatore non viene reclamato da quest’ultimi nel termine dei sei mesi dal termine della prestazione offerta al cliente, allora lo stesso sarà stato conseguentemente saldato da quest’ultimo. Presunzione, tuttavia, che può essere vinta anche semplicemente il tramite di una dichiarazione scritta (una lettera, una mail, un messaggio, ecc…) con il quale il debitore confermi di non aver ancora pagato il dovuto (per maggiori informazioni sulla prescrizione presuntiva clicca qui

Inoltre, la Corte di Cassazione Civile (Sent. n. 1304/1995) ha avuto modo di chiarire che, in ogni caso, non si applica il termine semestrale ma, piuttosto, quello più ampio – dieci anni – della prescrizione ordinaria nel caso in cui la prestazione offerta da albergatori e osti sia sorta a seguito di un contratto scritto vero e proprio. In particolare, la Suprema Corte precisa che la presunzione di pagamento va applicata solo a quei rapporti che si svolgono senza formalità, in relazione ai quali il pagamento suole avvenire senza dilazione né rilascio di quietanza scritta e non opera quando il diritto, di cui si chiede il pagamento, scaturisce da un contratto stipulato per iscritto.

Ora, considerato che lei fa riferimento ad un accordo, qualora lo stesso sia stato perfezionato per iscritto, si potrà eventualmente tentare ugualmente l’azione, anche qualora siano trascorsi più di sei mesi dalla conclusione del rapporto.

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La garanzia sull’usato nella vendita tra privati

DOMANDA: Ho acquistato un’automobile usata da un privato, tramite internet. A distanza di un mese dalla consegna, però, la macchina ha cominciato a dare problemi. Il meccanico mi ha fatto un preventivo di costi pari a quello che ho pagato per l’auto. Il venditore mi dice che sono vizi di cui lui non era a conoscenza e che possono essersi verificati anche dopo l’acquisto. Cosa posso fare?

COSA DICE LA LEGGE: Purtroppo le transazioni commerciali nelle quali sia compratore che venditore sono soggetti privati, e non commerciali, offrono scarsissime garanzie sul prodotto oggetto del trasferimento di proprietà.

Occorre, anzitutto applicare l’art. 1945 del Codice Civile, il quale concede al compratore il termine di otto giorni dalla scoperta del vizio per denunciare la circostanza al venditore. E occorre fare attenzione alle modalità di denuncia, perché può divenire necessario provare, poi, in corso di causa, non solo la tempestività della comunicazione, ma anche che la stessa sia giunta a conoscenza del destinatario nel suddetto termine di otto giorni.

Non basta. Occorre anche agire per tempo qualora non si addivenga ad un accordo, in quanto l’azione giudiziale è sottoposta al termine breve di un anno dalla scoperta del vizio.

Naturalmente, questo non significa che qualunque vizio possa essere denunciato, sempre nel succitato termine di otto giorni, in qualunque momento dovesse venire scoperto. Infatti, per tutti i difetti che potevano essere tranquillamente rilevati al momento dell’acquisto, il termine di otto giorni decorre dalla data di consegna del bene.

Solo per quanto riguarda i vizi occulti, ovvero quelli che non potevano essere scoperti immediatamente, il termine di otto giorni inizia a decorrere dalla scoperta. Ma attenzione: occorre, altresì, provare che si trattava di un vizio preesistente all’acquisto del bene usato, poiché diversamente i costi di ripristino rimangono in ogni caso a carico del nuovo proprietario.

Qualora si verifichino le circostanze suddette, o comunque nell’ipotesi in cui il venditore abbia in ogni caso riconosciuto la propria responsabilità, il compratore potrà, a propria scelta, chiedere una riduzione del prezzo oppure il risarcimento dei costi di ripristino/riparazione di quanto acquistato. Nell’ipotesi in cui il vizio assuma connotazioni rilevanti, o, peggio, renda inservibile il bene, si potrà invece richiedere la risoluzione del contratto e la restituzione del prezzo pagato.

Si segnala, da ultimo, che nelle compravendite tra privati, anche a distanza, come nel caso di cui alla domanda, non è possibile esercitare il diritto di ripensamento di cui abbiamo parlato qui.

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