Ritardo cronico nel pagamento di affitti e inadempimento contrattuale
DOMANDA: Ho affittato da alcuni anni un mio appartamento ad una famiglia che mi paga sempre l’affitto con cronico ritardo. Lo stesso dicasi delle spese condominiali. E’ vero che non accumulano mai più di una mensilità, ma sono stanco di dover sopportare i loro comodi, anche perché non tengono bene l’abitazione. Il contratto dice che anche il ritardo nel pagamento di una sola mensilità determina risoluzione del contratto. Posso agire in giudizio?
COSA DICE LA LEGGE: Stando alla sua descrizione, non sembrerebbe che, allo stato attuale, una azione giudiziale di risoluzione contrattuale per inadempimento del conduttore – per mancato pagamento dei canoni nei termini convenuti – abbia ragionevoli probabilità di accoglimento.
Infatti, l’art. 1455 del Codice Civile stabilisce espressamente che il contratto non può essere risolto se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra. E nel caso di specie, nonostante il contratto di locazione stabilisca un termine preciso per il pagamento del canone mensile, la circostanza che lei, in qualità di locatore, abbia fino ad oggi tollerato i pagamenti in ritardo, costituisce evidente sintomo di uno scarso interesse, da parte sua, in ordine al rispetto puntuale delle scadenze di corresponsione delle pigioni.
Sul punto è intervenuta anche la Corte di Cassazione Civile (Sent. n. 2507/1979), rappresentando che l’abituale tolleranza del locatore nel ricevere con ritardo il canone, rende inoperante la clausola risolutiva espressa: essa non esclude peraltro la pretesa di ottenere il ripristino della rigorosa osservanza degli obblighi contrattuali, ma tale pretesa può spiegare effetti solo per l’avvenire e non può essere addotta per trarre conseguenze giuridiche sfavorevoli al conduttore per le prestazioni già scadute.
In buona sostanza, per la Suprema Corte, occorre anzitutto comunicare al conduttore che non si intendono più tollerare ritardi nel pagamento dei canoni, al fine di far cessare l’implicita accondiscendenza all’inadempimento.
Solo qualora il comportamento perduri anche successivamente alla diffida in tal senso, si potrà valutare, sempre con l’aiuto di un legale, la migliore azione giudiziale da intraprendere.
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