Menu
X

Categoria: Diritto civile e commerciale

Articoli di diritto civile e commerciale


Ripartizione spese condominiali straordinarie tra vecchio e nuovo proprietario

DOMANDA: Ho venduto un paio d’anni fa il mio appartamento, ma prima della firma del preliminare l’assemblea condominiale aveva deliberato spese straordinarie per il rifacimento delle pareti esterne per un determinato importo. Conscio di ciò, di comune accordo con l’acquirente avevo inserito nel contratto preliminare che, allorquando fosse stato presentato il conto, anche successivamente al rogito di vendita, mi sarei occupato io del saldo per l’importo in questione. A distanza di un paio d’anni l’amministratore ha presentato il conto, ma è di gran lunga superiore al preventivo. Io sono disponibile a pagare quanto stabilito nel contratto preliminare, ma non di più. Ho ragione?

COSA DICE LA LEGGE: Lei ha ragione, ma solo in parte. L’Amministratore condominiale, infatti, ha il diritto di domandarle il pagamento pro quota delle spese condominiali maturate dopo la vendita dell’immobile, ma deliberate allorquando lei era ancora proprietario.

E purtroppo questo indipendentemente dalla circostanza che il preventivo iniziale sia stato modificato, in corso d’opera, a fronte di spese ulteriori inizialmente non previste.

La giurisprudenza lo ha chiarito espressamente anche di recente (Sent. n. 1847/2018), evidenziando come il nuovo proprietario non possa essere obbligato in via diretta al pagamento nei confronti del terzo creditore – nel caso di specie l’impresa che ha svolto i lavori condominiali – per spese condominiali deliberate prima che questi divenisse proprietario. Non è obbligato, per inciso, neppure in via solidale ai sensi dell’art. 63 delle Disposizioni Attuative del Codice Civile, il quale stabilisce l’obbligo solidale del nuovo proprietario con il vecchio per quanto attiene al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.

Se da una parte, quindi, lei è tenuto, purtroppo, a corrispondere la maggior somma richiesta dal Condominio, dall’altro potrà far valere nei confronti del nuovo proprietario le intese contrattuali convenute nel contratto preliminare, poiché alcuna norma imperativa di legge vieta che le parti di un contratto di compravendita immobiliare convengano tra loro le modalità di ripartizione di eventuali spese, ivi comprese quelle condominiali straordinarie già deliberate.

Desideri approfondire questo argomento o richiedere una consulenza? Clicca sul nome dell’autore che trovi sopra il titolo.

Il diritto di ripensamento negli acquisti online

DOMANDA: Ho comprato una giacca online, sul sito di una sartoria, ma quando il corriere me l’ha consegnata a casa, provandola mi sono resa conto che il tessuto non era di buona qualità e non era fatta bene. Ho chiamato il venditore, ma al telefono mi hanno risposto che sul sito era specificata con esattezza tanto la tipologia di tessuto che le esatte misure del prodotto, e quindi non era possibile procedere con la restituzione dei soldi pagati, ma semmai solo con l’emissione di un voucher di importo pari all’acquisto, per avere un altro dei loro prodotti. E che, inoltre, avrei dovuto rispedire la giacca a mie spese. Non mi sembra giusto. Cosa posso fare?

COSA DICE LA LEGGE: Se lei ha ricevuto il pacco contenente la giacca a cui fa riferimento da non più di 14 giorni, può esercitare il diritto di ripensamento, al fine di restituire il bene acquistato e ottenere il rimborso di quanto pagato.

Il diritto di ripensamento, infatti, consente al consumatore che acquisti un bene o un prodotto fuori dai locali commerciali del venditore, di “cambiare idea” nel termine di 14 giorni dalla materiale consegna. In questo senso, peraltro, la legge stabilisce che non sia nemmeno necessario fornire al venditore una motivazione delle ragioni per cui si intende procedere alla resa del bene.

Per consumatore si intende la persona fisica che effettua un acquisto non per scopi commerciali, e quindi a titolo personale. Non godono, pertanto, di questo beneficio di legge ditte individuali e società.

Con il termine “locali commerciali” invece, ci si riferisce al negozio del venditore. Per poter esercitare il diritto di ripensamento, quindi, è necessario che il compratore non abbia avuto un contatto diretto – fisico, si potrebbe dire – con il prodotto acquistato. Conseguentemente, il diritto di ripensamento può esercitarsi non solo con riferimento agli acquisti su internet, ma anche, ad esempio, per tutto quanto attiene a qualunque contratto formulato, sottoscritto o comunque accettato tramite rappresentanti e venditori porta a porta, o a mezzo telefono.

Il venditore è tenuto ad informare espressamente ed esplicitamente l’acquirente a distanza dell’esistenza del diritto di ripensamento nel termine di 14 giorni. Se questa informativa espressa manca, il diritto di ripensamento viene automaticamente prolungato, per legge, ad un anno e 14 giorni.

Se tempestivamente esercitato, il diritto di ripensamento consente al compratore/consumatore di ottenere il rimborso del prezzo di acquisto e delle originarie spese di spedizione del pacco, ma non le spese postali di restituzione del bene, che rimangono a carico dell’acquirente.

Desideri approfondire questo argomento o richiedere una consulenza? Clicca sul nome dell’autore che trovi sopra il titolo.

La restituzione dell’affitto pagato in nero

DOMANDA: Sono uno studente universitario e mi sono laureato lo scorso gennaio. Vivevo fuori sede in un piccolo monolocale. Non avevo contratti scritti con il proprietario e pagavo un affitto mensile in nero di 400 euro. Oltre ad averglieli pagati sempre regolarmente, ora mi chiede degli altri soldi perché dice che deve far ritinteggiare i muri e fare un po’ di manutenzione. Mi sono arrabbiato e vorrei sapere se posso fare qualcosa per ottenere il rispetto dei miei diritti.

COSA DICE LA LEGGE: Lei può chiedere il rimborso di tutti i canoni di locazione mensili da lei pagati in nero, promuovendo la relativa azione entro il termine di sei mesi dalla cessazione del rapporto locatizio.

Lo stabilisce espressamente l’art. 79 della legge n. 392/1978, il quale sancisce espressamente la nullità di qualunque accordo contrario alla legge – e il contratto di locazione privo della forma scritta e non regolarmente registrato presso l’Agenzia delle Entrate lo è – volto ad attribuire al locatore ingiusti vantaggi, quali una durata legale del contratto inferiore a quelle previste per legge, oppure, giustappunto, un canone di locazione maggiore di quello dichiarato. Quest’ultimo è l’esempio che si verifica allorquando sia redatto e sottoscritto un regolare contratto di locazione, per giunta registrato presso i competenti uffici, ma le parti si accordino, a latere, per un surplus mensile in nero.

Va detto, tuttavia, che la vera difficoltà, in questi casi, è costituita dalla prova dell’avvenuto pagamento in nero, che spetta in via esclusiva al conduttore dell’immobile. E non è mai semplice, poiché quasi sempre il proprietario dell’immobile si guarda bene dal rilasciare ricevute. In alcuni casi i Tribunali hanno ammesso la prova per testimoni della dazione di denaro, ma si deve comunque trattare di una prova analitica, puntuale, estremamente circostanziata e precisa.

Prima di avviare ogni azione, quindi, andrebbero anzitutto esaminate con l’ausilio di un avvocato le prove che la parte ha a disposizione.

Desideri approfondire questo argomento o richiedere una consulenza? Clicca sul nome dell’autore che trovi sopra il titolo.

Trovare un accordo con i propri creditori

DOMANDA: Avevo una piccola impresa artigiana che è andata male. Ho debiti con fornitori, con Agenzia delle Entrate per Iva non versata e tasse, con l’Inps per contributi non pagati. Inoltre non riesco più a pagare le rate del mutuo di casa. La situazione è drammatica. Cosa posso fare?

COSA DICE LA LEGGE: In una situazione così grave l’unica soluzione forse praticabile è quella di avvalersi delle disposizioni in materia di sovraindebitamento introdotte con la Legge n. 3/2012 “Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio”.

Le disposizioni suddette, che inizialmente rivolte solo a soggetti privati i cui debiti non fossero ascrivibili alla propria attività professionale, in seguito sono state estese, per sua fortuna, anche a piccoli imprenditori come lei. Il requisito soggettivo, pertanto, parrebbe essere rispettato, anche se appare imprescindibile rivolgersi ad un avvocato per l’esame specifico del suo caso.

Senza scendere in questa sede in eccessivi tecnicismi, la Legge n. 3/2012 introduce essenzialmente due differenti percorsi. Il primo prevede che si raggiunga un accordo di composizione con tutti i creditori; accordo che contempli il pagamento di una percentuale degli importi dovuti, a fronte della messa a disposizione, da parte del debitore, di una parte dei propri beni mobili (somme di denaro, oggetti di valore comprese auto) ed immobili, e delle proprie entrate mensili derivanti dall’occupazione svolta. Il vantaggio di questo procedimento è che, almeno in linea di principio, è possibile conservare parte del proprio patrimonio. Lo svantaggio è che, per il perfezionamento della procedura, è necessario il consenso espresso al piano da parte dei creditori, senza tacere del fatto che alcuni creditori – ad esempio i creditori muniti di ipoteca – devono essere saldati per intero, a meno che quest’ultimi non rinunzino volontariamente a parte del proprio credito, circostanza questa invero piuttosto rara. Inoltre, occorrerà che il Tribunale conceda il proprio nulla osta all’omologazione del piano di composizione.

Il secondo, invece, prevede la liquidazione, ovvero la vendita, del patrimonio, tutto compreso e nulla escluso – neppure, ad esempio, quote di immobili derivanti da eredità, per fare un esempio –, appartenente al debitore, e più in generale l’utilizzo di ogni risorsa di quest’ultimo per soddisfare, per quanto possibile, le richieste dei creditori. In questo caso il vantaggio è sicuramente costituito dal fatto che non è necessario ottenere il consenso dei creditori. Lo svantaggio è dovuto al fatto che il debitore si spoglia di ogni proprio bene, anche futuro ad esclusione di quanto necessario per vivere.

L’intero procedimento ha natura giudiziale e viene introdotto con ricorso, a seguito del quale il Tribunale nomina un professionista delegato a redigere il piano che dovrà poi essere proposto ai creditori e al Giudice ai fini dell’omologazione.

Desideri approfondire questo argomento o richiedere una consulenza? Clicca sul nome dell’autore che trovi sopra il titolo.

Problemi di telefonia e tentativo di conciliazione

DOMANDA: Allettato da una offerta pubblicitaria di telefonia che mi sembrava molto vantaggiosa, sono migrato da [omissis n.d.r.] a [omissis n.d.r.] sul mio numero personale di telefonino. Quest’ultima compagnia telefonica, però, da due settimane non mi riattiva la linea sul cellulare, accampando scuse di tutti i tipi, e ovviamente non ho neppure la linea attiva con il vecchio gestore. In pratica sono senza telefono, ed è per me un danno gravissimo. Come devo muovermi?

COSA DICE LA LEGGE: La legge prevede un particolare procedimento per la risoluzione delle controversie tra utenti, sia di fisso che mobile, e compagnie telefoniche, da svolgersi presso il Comitato Regionale per le Comunicazioni (Co.Re.Com.) del luogo in cui lei risiede, che è peraltro condizione di procedibilità anche per l’avvio di una causa.

Significa, in buona sostanza, che anche qualora lei decidesse di agire in giudizio contro la compagnia telefonica con cui ha stipulato il nuovo contratto, e che le ha causato danni a cui fa cenno, dovrebbe comunque, preliminarmente, agire presso il Co.Re.Com..

Il procedimento è molto agile, non prevede costi da corrispondere al Comitato Regionale per le Comunicazioni, e prevede un sistema di scambio di comunicazioni scritte tra il cliente ed il gestore telefonico, da effettuarsi sulla piattaforma informatica istituita dal Co.Re.Com., nonché un sistema di videoconferenza, quest’ultimo anche alla presenza di un conciliatore deputato a favorire l’intesa tra le parti.

I vantaggi di questa procedura sono molteplici: anzitutto la possibilità di confrontarsi con un interlocutore fisico credibile e dotato di poteri conciliativi, in luogo di call center e risponditori automatici. Ma anche la celerità del procedimento, che si conclude nell’arco di poche settimane. E, ancora, l’assenza di rischi di dover sostenere le spese legali dell’avversario in caso di mancata intesa sul rimborso/ristoro/risarcimento, circostanza questa che, invece potrebbe verificarsi qualora si fosse dichiarati soccombenti in una causa civile nei confronti della compagnia telefonica.

Il suddetto sistema, inoltre, è attivabile indipendentemente dall’ammontare della richiesta economica, e quindi anche per importi minimi, al contrario di una causa civile in cui il ridotto ammontare della domanda potrebbe non giustificare un’azione giudiziale.

Occorre, infine, essere in grado di provare analiticamente il danno patito, e in questo caso potrebbe essere utile esaminare la fattispecie unitamente ad un avvocato.

Desideri approfondire questo argomento o richiedere una consulenza? Clicca sul nome dell’autore che trovi sopra il titolo.

Il rimborso della retta di scuole ed asili chiusi per Coronavirus

DOMANDA: L’asilo di mia figlia è chiuso ormai da giorni a causa delle misure di contenimento del Coronavirus. La retta noi la paghiamo mensilmente, ad inizio mese, e così ho fatto per il mese di marzo, pagando 450 euro. Siccome la chiusura continuerà sicuramente fino a metà marzo, ma non si esclude che prosegua fino ad aprile, ho diritto ad avere il rimborso di quanto pagato? Anche perché oltre a non usufruire del servizio, devo pure pagare una babysitter.

COSA DICE LA LEGGE: Premesso che per offrire una risposta precisa è evidentemente necessario esaminare il contratto da lei sottoscritto con l’asilo di sua figlia, quantomeno in linea di principio si ritiene che lei abbia evidentemente diritto alla restituzione delle somme pagate per un servizio non regolarmente svolto, per causa a lei non imputabile. Il principio, peraltro, può essere esteso anche al servizio di mensa scolastica non usufruito, e più in generale a tutte le scuole di infanzia, primarie e secondarie. Questo in ossequio ai generali principi che sottendono allo scambio di prestazioni proprie di un contratto. Il cosiddetto rapporto sinallagmatico, che nel caso di specie non si è regolarmente svolto, in quanto a fronte di un pagamento, non si è ricevuto il relativo servizio promesso.

Non si nascondono, tuttavia, alcune perplessità circa il diritto alla restituzione della quota di retta allorquando asili e scuole private siano costituiti in forma di associazione, e nelle quali ai genitori viene preliminarmente richiesto di compilare la domanda di ammissione a socio. In tal caso, infatti, per molti versi potrebbe ritenersi che i genitori, così facendo, divengano parte integrante stessa del soggetto che eroga il servizio, con ciò compartecipando anche del relativo rischio d’impresa. In tal caso, quindi, potrebbe non essere così infondata la soluzione che preveda semplicemente il diritto dei genitori di ricevere pro quota le eventuali somme che dovessero essere in futuro corrisposte dello Stato a sostegno di queste realtà, nell’ambito dei più ampi interventi legislativi in materia di Coronavirus e diffusione del Covid-19.  Quali e quante non è dato al momento saperlo. Anche in questo caso, quindi, occorre esaminare attentamente il contratto sottoscritto.

Desideri approfondire questo argomento o richiedere una consulenza? Clicca sul nome dell’autore che trovi sopra il titolo.

Annullamento della vacanza e diritto al rimborso

DOMANDA: Io e mia moglie abbiamo acquistato da un’agenzia viaggi un pacchetto turistico per un viaggio all’estero. Dovevamo partire la prossima settimana. A causa dell’epidemia di coronavirus, però, ci hanno appena comunicato che lo Stato dove dovevamo andare ha chiuso le frontiere agli italiani. Avevo già versato la caparra. L’agenzia viaggi mi ha detto che non è colpa loro, e che se vogliono possono al massimo darmi un buono da spendere in un altro viaggio, oppure rimandare quello che avevamo già prenotato. Io però voglio indietro i miei soldi. Ho diritto ad avere il rimborso?

COSA DICE LA LEGGE: Lei ha diritto ad ottenere il rimborso di quanto pagato a titolo di caparra o comunque anticipo sul prezzo complessivo concordato in ogni caso, con la sola ed unica esclusione dell’ipotesi in cui l’agenzia viaggi si sia comportata da Vostra mera rappresentante presso il tour operator, perché in tale circostanza sarebbe quest’ultimo a risponderne. Andrebbe, quindi, esaminato il contratto da Lei stipulato.

In linea generale, comunque, l’agenzia viaggi è sempre responsabile, nei confronti del viaggiatore, per inadempimenti dello stesso tour operator in forza dell’art. 14 D.Lg n. 111/1995 , che chiama a rispondere del mancato o inesatto adempimento sia l’organizzatore/tour operator che il venditore/agenzia.

L’agenzia viaggi, in questo caso, non potrà trattenere neppure le cosiddette spese di istruttoria. Infatti, La restituzione dell’intero prezzo pagato prescinde dalla distinzione tra la quota versata per il pacchetto turistico tout court e quella da imputare alle attività di gestione della pratica, posto che anche queste rientrano fra le prestazioni dovute dall’organizzatore, per consentire la realizzazione della causa contrattuale, ovvero il godimento della vacanza. Pertanto, nel caso in cui, nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze, si verifichino circostanze inevitabili e straordinarie, che incidono sostanzialmente sull’esecuzione del pacchetto, il turista ha diritto di recedere dal contratto, senza che il professionista possa trattenere alcuna delle somme versate, al momento della prenotazione, comprese quelle corrisposte per la stipula dell’assicurazione di viaggio (Consiglio di Stato, Sez. VI, 01/10/2019, n. 6566).

A completamento, va detto che il D.L. n. 9 del 02/03/2020 stabilisce, in maniera del tutto generica, forme di rimborso per coloro che non hanno potuto usufruire di viaggi e pacchetti turistici a causa di misure di contenimento alla diffusione del coronavirus approntate in Italia o all’estero. Tuttavia, proprio la lacunosità dell’indicazione di legge fa ritenere, al momento e in attesa di chiarimenti sul punto, tuttora applicabile la normativa generale succitata.

Desideri approfondire questo argomento o richiedere una consulenza? Clicca sul nome dell’autore che trovi sopra il titolo.

Risarcimento dei danni all’immobile dato in locazione

DOMANDA: Ho affittato un appartamento di mia proprietà a un inquilino che non mi ha pagato l’affitto. Non l’ho sfrattato perché per fortuna ad un certo punto mi ha restituito le chiavi. Voleva però indietro la caparra, e io gli ho detto di no, perché l’immobile è gravemente danneggiato, e il deposito non basta a coprire sia gli affitti non pagati che la riparazione dei danni. Il conduttore ha detto che mi farà causa. Ha possibilità di vincere?

COSA DICE LA LEGGE: Purtroppo, senza una domanda giudiziale da parte sua di attribuzione del deposito cauzionale a titolo di risarcimento per gli inadempimenti contrattuali del conduttore (mancato pagamento di canoni di locazione, danni all’immobile, ecc…), lei non può trattenere le somme pagate a suo tempo dal locatario a garanzia del rispetto degli impegni assunti contrattualmente.

La giurisprudenza, infatti, è unanime nel sostenere che senza una pronuncia giudiziale che autorizzi il proprietario dell’immobile ad incamerare il deposito cauzionale, previa prova del danno subito, non è possibile per quest’ultimo – in questo caso lei – effettuare autonomamente una quantificazione dei danni operando la relativa compensazione con le somme pagate dal conduttore in occasione della stipulazione del contratto.

E’ vero anche, tuttavia, che qualora lei dovesse subire una causa da parte del suo ex inquilino, potrà costituirsi in giudizio formulando una domanda riconvenzionale – ovvero formulando lei stesso, a sua volta, una espressa domanda al Giudice – di riconoscimento dei danni subiti per esclusiva responsabilità del conduttore, e contestuale autorizzazione ad incamerare il deposito cauzionale, oltre all’eventuale condanna anche per le maggiori somme.

Peraltro, la Corte di Cassazione Civile (Ord. N. 6596 del 07/03/2019) ha ritenuto che oltre al mancato pagamento di canoni e costi di ripristino dell’immobile – con esclusione solo della normale usura derivante dall’utilizzo del bene – lei potrà richiedere anche ulteriori canoni di locazione per tutto il periodo che si è reso, o si renderà, necessario per effettuare le riparazioni del bene. E questo anche senza necessità di provare di aver perduto occasioni di nuova locazione.

Desideri approfondire questo argomento o richiedere una consulenza? Clicca sul nome dell’autore che trovi sopra il titolo.

Posteggio auto nelle parti comuni del condominio

DOMANDA: Abito in condominio. Uno dei condomini parcheggia sempre la sua macchina davanti al suo garage, ma così facendo occupa parte del portico condominiale coperto. Lui dice di poterlo fare perché l’automobile è davanti all’ingresso della sua rimessa, dove solo lui può fare accesso. Non sono d’accordo e l’ho fatto presente all’Amministratore condominiale, che però non fa niente Cosa posso fare?

COSA DICE LA LEGGE: Lei può agire direttamente nei confronti del condomino, e anche sollecitare in tal senso l’Amministratore condominiale. E’ fatto, infatti, espresso divieto per ciascun condomino di fare un uso delle parti comuni tale da impedire agli altri condomini di usufruire parimenti delle medesime aree. Tra le aree comuni, evidentemente, va ricompreso, a mente dell’art. 1117, Cod. Civ., anche il portico condominiale coperto, il quale peraltro, nel caso di specie, assolve altresì ad una funzione di riparo dalle intemperie.

Ad onor del vero ed in linea teorica, sarebbe probabilmente possibile per il suo vicino lasciare il proprio mezzo di trasporto in sosta davanti al proprio garage, a condizione però che ciò avvenga per periodi brevi.

Se, infatti, la sosta dovesse divenire prolungata, egli incorrerebbe nella lesione di pari diritti garantiti agli altri condomini – in questo caso quello di transitare liberamente a piedi lungo il porticato. Sul punto è intervenuta anche la Corte di Cassazione Civile (Sent. n. 3640/2004).

L’azione nei confronti del trasgressore può essere svolta sia dal singolo condomino che ritenesse di aver subito una lesione dei propri diritti, che dall’Amministratore condominiale, qualora l’abuso fosse reiterato e posto in essere anche a seguito di diffida in tal senso.

Peraltro, qualora fosse stato già previsto in sede di regolamento condominiale il divieto di parcheggio delle auto nelle aree comuni, l’Amministratore condominiale avrebbe il diritto di irrogare delle vere e proprie sanzioni.

Desideri approfondire questo argomento o richiedere una consulenza? Clicca sul nome dell’autore che trovi sopra il titolo.

Quando in condominio gli odori di cucina sono reato

DOMANDA: Vivo in un condominio nel quale da qualche tempo si sono trasferite due famiglie cinesi, che ogni giorno friggono praticamente ad ogni ora del giorno. L’odore di fritto, cipolla, eccetera, in corridoio è diventato insostenibile, oltre al fatto che non è nemmeno più possibile aprire le finestre perché entra tutto in casa. C’è qualcosa che si può fare?

COSA DICE LA LEGGE: Se effettivamente i fumi di cucina hanno assunto i livelli di insostenibilità da lei indicati, sicuramente si può fare qualcosa.

La terza Sezione della Corte di Cassazione Penale, infatti, con una pronuncia del 2016 (la n. 14467), ha parlato di vere e proprie “molestie olfattive”, allorquando le emissioni di vapori di cottura superino la normale tollerabilità.

L’articolo di riferimento è il 674 del Codice Penale, il quale punisce con l’arresto fino ad un mese e l’ammenda fino ad € 206,00 chiunque, in un luogo di pubblico transito oppure privato ma comune – in questo caso le parti comuni del Condominio – provochi emissioni di gas, di vapori o di fumo, in misura talmente eccessiva da nuocere ad altri.

Occorre, pertanto, predisporre una denuncia-querela da depositare presso gli uffici competenti, affinché si proceda nei confronti dei trasgressori.

Può essere anche promossa azione civile per il risarcimento del danno, anche se la prova dell’ammontare di quest’ultimo, in termini di precisa quantificazione, potrebbe essere presentare più di qualche problema.

Desideri approfondire questo argomento o richiedere una consulenza? Clicca sul nome dell’autore che trovi sopra il titolo.

© Copyright 2017 Cosa dice la Legge. Tutti i diritti sono riservati. P.IVA 03595790274