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Categoria: Recupero crediti

Articoli sul recupero crediti


Liquidatore responsabile per crediti non saldati se non rispetta la par condicio

DOMANDA: Ho scoperto che una piccola società mia debitrice è stata messa in liquidazione e chiusa senza che il mio credito sia stato pagato, ma so che altri creditori sono stati pagati. Posso fare causa al liquidatore?

COSA DICE LA LEGGE: Dipende tutto dalle modalità con le quali il liquidatore ha effettuato i pagamenti agli altri creditori in costanza di procedimento di liquidazione della società.

E’, infatti, necessario che il liquidatore di una società rispetti il principio della cosiddetta par condicio creditorum. In buona sostanza, a parità di diritti, i creditori del medesimo tipo devono essere saldati nella stessa misura percentuale calcolata rispetto al credito – liquido, certo ed esigibile – complessivamente vantato. Questo in ossequi alle previsioni di cui all’art. 2741 del Codice Civile, il quale stabilisce che i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione.

In estrema sintesi, quindi, il liquidatore risponderà nei confronti del creditore pretermesso, ovvero illegittimamente insoddisfatto, peraltro illimitatamente e con tutto il proprio patrimonio, solo qualora sia possibile provare che questi abbia proceduto alla cancellazione della società (art. 2495, Cod. Civ.) avendo eseguito pagamenti in spregio dei principi di parità di trattamento sopra indicati.

Da par suo, il liquidatore si libererà da responsabilità solo provando di aver svolto una ordinata gestione liquidatoria del patrimonio sociale, senza danno per il singolo creditore.

Occorre, pertanto, preliminarmente esaminare i bilanci depositati dal liquidatore, e in particolare quello finale, per poter fornire un parere preciso in ordine alla fattispecie proposta.

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Recuperare i crediti nei confronti di una società estinta

DOMANDA: Avanzo soldi da una società, una S.r.l., a cui avevo emesso una fattura alcuni anni fa. Volevo chiedere un decreto ingiuntivo ma casualmente ho scoperto che la società è stata cancellata dal Registro delle Imprese. Ho perso tutto?

COSA DICE LA LEGGE: Dipende. Nelle società di capitali (società a responsabilità limitata e società per azioni) al contrario di quello che succede nelle società di persone (società in nome collettivo e società in accomandita semplice, ad esempio), i soci non rispondono con il loro patrimonio delle obbligazioni, e quindi anche dei debiti, contratti nel corso della vita societaria. Questo significa che, in linea di principio, quando la società cessa di esistere, non sarà più possibile per il creditore agire nei confronti di quest’ultima, proprio perché non più esistente. Non tutto, è, però, perso a priori.

Infatti, tra la società estinta ed i soci che la componevano, si verifica un fenomeno che la giurisprudenza definisce di tipo “successorio”.

In pratica, l’articolo 2495 del Codice Civile stabilisce che, pur restando ferma l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti potranno far valere i loro crediti direttamente nei confronti dei soci.

Nessuna differenza, quindi, rispetto alle società di persone? Non proprio.

In caso di responsabilità di una società di capitali estinta a seguito della cancellazione dal Registro delle Imprese, la possibilità per i creditori sociali di far valere i loro crediti nei confronti dei soci, residua solo fino a concorrenza delle somme riscosse dai soci in base al bilancio finale di liquidazione

Dal punto di vista, pratico, pertanto, occorre chiedere alla Camera di Commercio copia dell’ultimo bilancio societario. Verificare l’ammontare di eventuali utili finali liquidati in favore dei soci. E poi agire nei loro confronti, ma per un importo che non potrà superare l’ammontare complessivo delle somme ricevute dalla società estinta.

Va, infine, considerato che entro l’anno dall’estinzione della società è pur sempre possibile depositare istanza di fallimento nei confronti di quest’ultima.

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Pagare il capitale prima della notifica del decreto ingiuntivo

DOMANDA: Un avvocato mi ha scritto tempo fa per una fattura che non avevo pagato. Ho fatto un bonifico la settimana scorsa, ma oggi mi hanno notificato un decreto ingiuntivo nel quale mi si dice che devo pagare parecchi soldi anche per le spese legali. Come mi devo comportare?

COSA DICE LA LEGGE: Quello da lei proposto è un argomento molto dibattuto in giurisprudenza. La risposta al suo quesito dipende molto dalle date di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo e della conseguente pronuncia del Giudice.

Si deve considerare, infatti, che tra il deposito della richiesta di emissione di decreto ingiuntivo – presso il Giudice di Pace o il Tribunale a seconda del valore del credito – e l’emissione dell’ingiunzione di pagamento che deve poi essere notificata al debitore, passa del tempo. Da qualche giorno ad alcune settimane.

Quanto sopra premesso, il principio giuridico sancito dalla Corte di Cassazione è quello secondo cui il pagamento del capitale – nel suo caso della fattura cui fa riferimento nella sua domanda – estingue il diritto stesso del creditore di agire con decreto ingiuntivo nei confronti del proprio debitore. L’assunto è di tutta evidenza, in particolare, se il pagamento è pervenuto al creditore prima del deposito stesso del ricorso presso la competente autorità giudiziaria.

Non molto diverso sembra essere, sempre per la Corte di Cassazione Civile, il caso in cui il pagamento sia avvenuto dopo il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, ma prima dell’emissione dell’ingiunzione di pagamento. Anche in questo caso si ritiene che venga meno il diritto del richiedente di notificare l’ingiunzione di pagamento (Cass. Civ. Sent. 9033/2010).

Il debitore, può, quindi, sentirsi al sicuro da altre pretese economiche? Non proprio. Infatti, seppur venuto meno il diritto ad agire con decreto ingiuntivo, il creditore potrà, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1224 del Codice Civile, agire con una causa ordinaria per ottenere il riconoscimento di interessi sul capitale, spese legali sostenute per il recupero del credito, e più in generale il risarcimento di ogni danno patito a causa del mancato saldo tempestivo delle somme dovute dal debitore.

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Cessione di credito efficace se antecedente al pignoramento

DOMANDA: Sono un padre divorziato e ho l’obbligo di mantenimento di mio figlio. Finora ho sempre utilizzato i proventi di un appartamento ereditato da mio padre per pagare l’assegno mensile, anche perché era il desiderio del nonno di mio figlio. Ultimamente ho alcuni debiti con miei fornitori. Però adesso ho paura che mi pignorino questa somma, che serve per mio figlio. Cosa posso fare?

COSA DICE LA LEGGE: Il consiglio può essere quello di cedere a suo figlio, o alla madre qualora l’assegno di mantenimento in questione spetti a quest’ultima per le esigenze del minore – o del maggiorenne non autosufficiente –, il credito a lei spettante e derivante dal contratto di locazione di cui alla domanda.

Occorre, tuttavia, fare attenzione ad alcuni aspetti. Anzitutto, affinché sia valida ed opponibile ai suoi creditori personali, la cessione di credito deve essere comunicata al suo inquilino, e ciò ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1264 del Codice Civile.

La norma in questione non pone particolari requisiti formali per il perfezionamento della comunicazione, tuttavia nel suo caso specifico, è necessario disporre di prova incontestabile di una data certa nella quale l’avviso di cessione del credito sia pervenuto al debitore ceduto.

Questo perché ai sensi dell’art. 2914 del Codice Civile, hanno efficacia e sono opponibili ai terzi creditori unicamente le cessioni di credito comunicate al debitore ceduto prima della notifica di un atto di pignoramento presso terzi.

Pertanto, quanto all’atto di cessione appare necessario predisporre un documento scritto.

Quanto, invece, alla spedizione della comunicazione al debitore ceduto, ideale, appare essere l’invio di una lettera raccomandata A.R.. Tuttavia, per evitare che i suoi creditori – per la verità con una eccezione particolarmente capziosa – eccepiscano la mancanza di prova che all’interno della busta inviata con lettera raccomandata A.R. vi fosse proprio la comunicazione di cessione del credito e non altro, il consiglio è quello di utilizzare il piego raccomandato.

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Crediti di lavoro e Fondo di Garanzia Inps

DOMANDA: Mi sono licenziato dal mio posto di lavoro perché non mi pagavano. Avanzo diverse buste paga, tredicesima e quattordicesima, ferie, e il TFR, però so che l’azienda va molto male e non ci sono soldi. Mi conviene tentare comunque di recuperare i miei soldi, o butto via tempo e denaro?

COSA DICE LA LEGGE: Il consiglio è quello di avviare comunque l’azione giudiziale di recupero del credito. Anche nell’ipotesi in cui si fosse in presenza di un’azienda datrice di lavoro totalmente decotta, ovvero impossibilitata a far fronte ai propri impegni economici.

Consideri, infatti, che trattandosi di crediti di lavoro, qualora l’iniziativa giudiziale e la successiva esecuzione non dovessero dare i risultati sperati – il recupero delle somme a lei dovute – lei potrebbe comunque formulare domanda di insinuazione nel Fondo di Garanzia Inps.

Il Fondo, infatti, garantisce anzitutto il pagamento del Trattamento di Fine Rapporto. Non solo. Garantisce anche il pagamento delle buste paga relative agli ultimi tre mesi di lavoro, a condizione però che si agisca tempestivamente. In genere entro dodici mesi dalla cessazione del rapporto, anche se vi sono alcune eccezioni, espressamente indicate all’Art. 2, comma I, D.LGs. n. 80/1992. Quanto al pagamento del Tfr, invece, è sufficiente agire nei confronti del datore di lavoro entro cinque anni dalla cessazione del rapporto.

Va precisato che se da una parte Il Fondo paga il Tfr per intero, dall’altra la garanzia dell’Inps per i crediti di lavoro è limitata, invece, ad una somma pari a tre volte la misura massima del trattamento straordinario di integrazione salariale mensile al netto delle trattenute assistenziali e previdenziali – una cifra complessiva vicina ai duemila euro –, e in ogni caso sono esclusi dal computo tutte le voci non aventi natura retributiva propriamente detta, e pertanto non si contano indennità di preavviso, indennità per ferie e permessi non goduti, indennità di malattia.

Il consiglio, ad ogni buon conto, è quello di far esaminare le buste paga da un avvocato e farsi formulare un preventivo preciso dei costi complessivi da sostenere per l’intera azione – ricorso per decreto ingiuntivo, iniziativa esecutiva individuale e/o istanza di fallimento, eventuale insinuazione nel passivo del fallimento e domanda al Fondo – così da valutare se l’azione sia economicamente conveniente e giustificata rispetto all’ammontare dei credi (certi) garantiti dal Fondo di Garanzia Inps.

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Il creditore ha diritto ad interessi e spese di messa in mora

DOMANDA: Sono un’azienda terzista e spesso i miei clienti ritardano il pagamento delle fatture. Però quando scrivo per metterli in mora, al massimo se mi va bene mi pagano la sola fattura, senza interessi e senza rimborso delle spese, nemmeno quelle dell’avvocato, così alla fine chi ci perde sono sempre io. Sono stufo di questa situazione, ma non so cosa fare.

COSA DICE LA LEGGE: Lei ha diritto a ricevere dai suoi debitori non solo il pagamento del conto capitale di cui alle fatture, ma anche gli interessi di mora e il rimborso delle spese di recupero del credito, seppure entro certi limiti.

In ambito di transazioni commerciali, l’intera materia è regolata, oltre che dalle generali norme del codice civile, dal Decreto Legislativo n. 231/2002.

L’art. 4 stabilisce che gli interessi moratori sul capitale decorrano, senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento. Gli interessi moratori – il tasso viene fissato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre solare – sono ampiamente superiori a quelli legali, e si applicano allorquando i due soggetti del contratto siano entrambi imprenditori.

L’art. 6 si occupa, invece, delle spese di recupero. Il legislatore, infatti, stabilisce che il creditore ha diritto anche al rimborso dei seguenti costi sostenuti per il recupero delle somme non tempestivamente corrisposte: senza che sia necessaria la costituzione in mora, ha diritto ad un importo forfettario di € 40,00 a titolo di risarcimento del danno, fatta comunque salva la prova del maggior danno, il quale potrà comprendere anche i costi di assistenza legale. In buona sostanza, se il legale al quale, eventualmente dovesse decidere di rivolgersi per la redazione ed invio di una lettera di messa in mora, le emetterà regolare fattura per la prestazione resa nel suo interesse, lei potrà richiederne il rimborso al suo debitore.

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Come evitare il pignoramento mobiliare in casa

DOMANDA: Mio marito aveva un’attività che è andata male e purtroppo ha accumulato molti debiti nel corso dell’ultimo anno. Cominciano ad arrivare notifiche di decreti ingiuntivi e cartelle esattoriali e ho paura di trovarmi da un giorno all’altro gli ufficiali giudiziari in casa. Come posso fare per evitare il pignoramento di beni, molti dei quali sono stati acquistati con i miei risparmi personali (mobili, televisione, frigorifero, ecc…), o sono frutto di regali che ho ricevuto da miei amici e parenti?

COSA DICE LA LEGGE: Anzitutto vi sono tutta una serie di beni, indicati all’art. 514, Cod. Civ., che non sono pignorabili. Tra questi si annoverano, a titolo di esempio non esaustivo, anello nuziale, vestiti, biancheria, letti, credenza, tavolo di cucina e di soggiorno e sedie, armadi guardaroba, frigorifero, stufa, cucina, lavatrice.

Quanto agli altri beni mobili, va detto che non è sufficiente esibire una fattura di acquisto, magari a Lei intestata, per dare prova ai creditori della proprietà di altri beni presenti in casa e non compresi nell’elenco suddetto. Men che meno uno scontrino, per giunta anonimo.

La giurisprudenza, infatti, richiede espressamente che la prova della proprietà debba anzitutto recare una data certa antecedente al pignoramento – ma sarebbe anche preferibile che fosse precedente anche all’inizio dell’azione di recupero del credito – nonché un titolo idoneo. In questo senso, infatti, nulla vieterebbe che un bene da lei acquistato come da fattura sia poi stato regalato a suo marito.

In questo senso, una soluzione efficace può essere quella di predisporre un inventario dei beni di Sua proprietà, da inserire poi in un contratto di comodato a tempo indeterminato di beni mobili nel quale lei, in quanto proprietaria, rivestirà il ruolo di comodante, e suo marito quello di comodatario.

Il contratto di comodato, al fine di conferirgli data certa, dovrà poi essere registrato presso la competente Agenzia delle Entrate. Il documento così perfezionato dovrebbe, a questo punto, essere titolo idoneo a comprovare la sua proprietà dei beni a far data da un momento precedente a quello di eventuale accesso del competente ufficiale giudiziario presso la sua residenza.

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Recuperare giudizialmente micro crediti conviene

DOMANDA: Sono un piccolo imprenditore e ho diversi crediti insoluti, ma si tratta di importi davvero bassi, a volte anche di poche centinaia di euro. Mi conviene fare una causa o visto il valore basso è meglio lasciare perdere?

COSA DICE LA LEGGE: Va immediatamente sfatata una falsa credenza. Ovvero quella che non sia conveniente rivolgersi ad un avvocato per il recupero di crediti insoluti di modesto valore, qualora il debitore si ostenti a non pagare.

E’ vero, semmai, il contrario. Paradossalmente, anzi, il consiglio professionale è piuttosto quello di agire giudizialmente prima che il credito vantato superi l’importo di € 1.032,00. Sopra questa soglia, infatti, i decreti ingiuntivi sono assoggettati all’imposta di registro per un minimo di € 400,00, oltre naturalmente alle spese di giustizia e a quelle legali.

A proposito di quest’ultime, invece, i costi sono ormai relativamente bassi, nel senso che, rimanendo all’esempio dei crediti fino ad € 1.032,00, le spese vive complessive ammontano a poche decine di euro. Se, poi, il debitore è una persona giuridica dotata di PEC, si risparmiano anche i costi vivi di notifica del decreto ingiuntivo, contenendo ancora di più i costi.

Quanto alle spese legali a titolo di compenso per l’avvocato, complice l’obbligo del preventivo da parte del professionista, quest’ultime possono essere anche, previo accordo, forfetizzate e contenute in somme che giustificano l’azione stessa.

Paradossalmente, quindi, può essere più costoso per il creditore tentare il recupero di un credito di € 2.000,00 piuttosto che di € 1.000,00.

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Pagamento fatture insolute senza decreto ingiuntivo

DOMANDA: Sono il titolare di una piccola azienda che fabbrica materiale plastico. Ho tante fatture insolute, ma sono tutte di piccolo importo. (altro…)

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