Nelle distanze tra edifici la sopraelevazione va intesa come nuova costruzione
DOMANDA: Sono il proprietario di un edificio di un piano costruito nei primi anni ottanta, confinante con uno più recente. I miei vicini hanno da poco edificato una sopraelevazione. Vorrei farlo a mia volta ma mi hanno diffidato dicendo che se costruissi in sopraelevazione violerei le distanze di legge, che nel nostro Comune sono di minimo 5,25 metri. La cosa non mi convince perché il mio edificio è stato costruito prima del loro. Cosa posso fare?
COSA DICE LA LEGGE: Purtroppo per lei la pretesa dei suoi vicini potrebbe essere fondata, nella misura in cui la sopraelevazione comporta un aumento della volumetria della struttura. Lei, cioè, potrebbe essere costretto dalla legge e dai regolamenti comunali a modificare il suo progetto di sopraelevazione al fine di rispettare le distanze di cui all’art. 873 del Codice Civile e del Regolamento del Comune territorialmente competente. Questo nonostante l’edificio di sua proprietà sia stato costruito in epoca precedente a quello limitrofo, sopra il quale è stata realizzata la sopraelevazione.
La giurisprudenza, ai fini della corretta applicazione del cosiddetto principio della prevenzione ha ritenuto, infatti, che ogni qualvolta la sopraelevazione comporti un aumento volumetrico, essa vada considerata a tutti gli effetti alla stregua di una nuova costruzione. Non opera, quindi, il principio della prevenzione riferito alle costruzioni originarie, sostituito tout court da quello della priorità temporale correlata al momento della sopraelevazione (Cass. Civ. Sent. 10467/2020 del 03 giugno 2020).
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Immissione anticipata nell’immobile e denuncia di vizi
DOMANDA: La scorsa settimana ho venduto un appartamento con rogito dal notaio. Avevo già consentito ai nuovi proprietari di prendere possesso dell’immobile due mesi fa, perché volevano fare dei lavori. Oggi mi hanno scritto dicendomi che hanno scoperto che l’intero impianto elettrico non è a norma, e che il rifacimento ha un costo tale che vogliono indietro un importo pari alla spesa dell’elettricista. Possono farlo, considerato che potevano comunque verificarlo ben prima di rogitare?
COSA DICE LA LEGGE: Dalla breve descrizione della vicenda parrebbe che i nuovi proprietari siano nei termini per effettuare la denuncia dei vizi della cosa venduta entro gli otto giorni di cui all’art. 1495 del Codice Civile.
E che, pertanto, lei sia tenuto a garantire quest’ultimi dai vizi della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1490, Cod. Civ..
Questo indipendentemente dalla circostanza che lei li avesse immessi anticipatamente nel possesso del bene.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione Civile, con l’ordinanza n. 9953/2020 del 27 maggio scorso.
In buona sostanza, sostiene la Suprema Corte, la consegna dell’immobile, effettuata prima della stipula del definitivo, non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti, né comunque di quello di prescrizione, presupponendo l’onere della tempestiva denuncia l’avvenuto trasferimento del diritto, sicché il promissario acquirente, anticipatamente immesso nella disponibilità materiale del bene, risultato successivamente affetto da vizi, può, tra l’altro, agire con l’azione per la diminuzione del prezzo, senza che gli si possa opporre la decadenza o la prescrizione.
L’unica possibilità per non rispondere del vizio sarebbe, pertanto, quella di dimostrare che gli acquirenti fossero in realtà perfettamente a conoscenza del vizio, e lo abbiano accettato, e che comunque il prezzo di vendita fosse calcolato anche sulla scorta delle caratteristiche e condizioni del bene oggetto di trasferimento.
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La denuncia dei vizi al subappaltatore
DOMANDA: Ho recentemente acquistato un’abitazione nuova, appena costruita. Quando mi sono trasferito a viverci con la mia famiglia, mi sono accorto che gli impianti sono particolarmente rumorosi. Ma anche l’isolamento acustico tra una parete e l’altra è praticamente inesistente. Cosa posso fare?
COSA DICE LA LEGGE: Qualora i rumori da lei avvertiti superino la normale tollerabilità, lei potrà agire nei confronti di chi le ha venduto l’immobile al fine di vedere tutelati i suoi diritti.
Il concetto di normale tollerabilità, contemplato dall’art. 844 del Codice Civile, è all’atto pratico di difficile inquadrabilità. Lo si può definire, in estrema sintesi, il risultato del contemperamento dei vari interessi in campo. Nel caso specifico, il diritto suo e della sua famiglia alla quiete domestica, e quello dell’impresa venditrice/costruttrice di edificare l’immobile secondo le regole tecniche, ma anche sulla scorta del budget a disposizione e conseguentemente dei relativi materiali acquistati e posati in opera.
In materia di immissioni rumorose interviene anche il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.M.C.) del 05 dicembre 1997, che costituisce la principale piattaforma normativa di settore, e che fornisce le principali indicazioni in materia di progetto acustico dell’immobile.
Questo significa che, qualora i rumori dovessero superare la normale tollerabilità, la causa potrà essere ascrivibile o ad un errato progetto acustico. Oppure ad una errata realizzazione, da parte dell’impresa costruttrice, delle previsioni indicate nel progetto acustico.
In entrambi i casi, si tratterà di un vizio di costruzione, contestabile al costruttore/appaltatore ai sensi degli articoli 1667 e 1669 del Codice Civile, naturalmente a patto di rispettare i termini di prescrizione e decadenza dell’azione in questione. Sul punto occorre sicuramente avvalersi dell’intervento di un legale.
In caso di accertamento dell’esistenza del vizio, il venditore/costruttore sarà chiamato all’eliminazione del vizio, se possibile, oppure alla riduzione del prezzo, fino anche al 20% (vedasi sentenze n. 2600/2001 del Tribunale di Milano e n. 2715/2007 del Tribunale di Torino).
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Il recesso del committente dal contratto di appalto
DOMANDA: Qualche tempo fa ho commissionato ad un’impresa l’edificazione di una rimessa per le mie macchine agricole. Non sono però soddisfatto di come stanno procedendo i lavori. Anzitutto perché si sono accumulati ritardi, ma anche perché hanno subappaltato i lavori a degli artigiani che non mi piacciono. E anche i materiali che stanno utilizzando sono a mio parere scadenti. Posso recede dal contratto? Preciso che non c’è stato nulla di scritto, a parte un preventivo di spesa, che ho firmato per accettazione.
COSA DICE LA LEGGE: Lei può sicuramente recedere dal contratto di appalto sottoscritto con l’impresa, anche se i lavori sono già iniziati.
Lo stabilisce l’articolo 1671 del Codice Civile, in materia di recesso unilaterale del committente dal contratto di appalto, il quale stabilisce che questi può sempre recedere dall’accordo, peraltro senza necessità di fornire una specifica motivazione – è il cosiddetto recesso ad nutum –. Il recesso può, pertanto, essere ascrivibile anche alla mera sfiducia nei confronti dell’appaltatore (Trib. Oristano, Sent. 453/2019).
Quanto sopra, tuttavia, a condizione che l’appaltatore venga tenuto indenne dalle spese sostenute e dei lavori eseguiti fino alla comunicazione di recesso, nonché del mancato guadagno.
Se da una parte, quindi, il Legislatore ha offerto al committente uno strumento particolarmente rapido ed efficace per sciogliersi dal contratto di appalto, dall’altro appare evidente che una decisione in tal senso non potrà certo ritenersi economicamente indolore.
Andrà, infatti, opportunamente stimato il valore delle opere realizzate fino alla comunicazione di recesso. Ma anche le spese fino ad allora sostenute, quali potrebbero, ad esempio, essere quelle già anticipate dall’appaltatore (ad esempio le forniture di materiali) per il prosieguo dei lavori poi interrottisi per volere del committente.
Particolarmente, spinosa, poi è la voce, anch’essa da rimborsare all’appaltatore, relativa al mancato guadagno, il cui ammontare deve essere provato da quest’ultimo. Il Tribunale di L’Aquila, con la sentenza n. 555 dell’11/07/2019 ha spiegato analiticamente in cosa consiste e a chi spetti provarlo: “In ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto d’appalto grava sull’appaltatore, che chieda di essere indennizzato del mancato guadagno, l’onere di dimostrare quale sarebbe stato l’utile netto da lui conseguibile con l’esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, salva la facoltà, per il committente, di provare che l’interruzione dell’appalto non ha impedito all’appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli ha procurato vantaggi diversi”.
Per un esame approfondito della vicenda, quindi, risulta irrinunciabile un consulto con un legale.
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La denuncia dei vizi al subappaltatore
DOMANDA: Sono il titolare di un’impresa edile. Qualche tempo fa ho consegnato una casa al mio committente, che alcuni giorni fa mi ha contestato dei vizi dell’impianto elettrico. Quest’ultimo, però, non è stato fatto da me, bensì da un artigiano a cui ho subappaltato il lavoro. Il committente mi dice che a lui non interessa, e pretende da me la riparazione e il risarcimento dei danni. Come posso muovermi?
COSA DICE LA LEGGE: Anzitutto lei deve, a sua volta, contestare immediatamente al suo subappaltatore i vizi e difetti denunciati al committente.
L’art. 1670 del Codice Civile, infatti, stabilisce espressamente che l’appaltatore principale – ovvero lei –, per agire in regresso nei confronti del subappaltatore – in questo caso il suo artigiano elettricista – deve, sotto pena di decadenza, comunicare ad essi la denunzia entro sessanta giorni dal ricevimento. Affinché il rispetto del termine in questione sia facilmente provabile, occorrerà che la denunzia sia effettuata con modalità che consentano di individuare facilmente la data di ricevimento. Lettera raccomandata A.R. o posta elettronica certificata sono, quindi, senza dubbio le soluzioni migliori. Si consideri, altresì, che la denuncia dei vizi è da ritenersi a tutti gli effetti un atto recettizio, ovvero un documento che spiega i suoi effetti solamente allorquando giunge a conoscenza del destinatario. È necessario, pertanto, che la contestazione non solo venga inviata entro i succitati 60 giorni, ma anche che sia ricevuta nel medesimo termine.
Quanto, invece, ai termini entro cui il committente è tenuto a denunciare all’appaltatore principale i vizi e difetti del manufatto, si applicano le ben note previsioni di cui agli articoli 1667 e 1669 del Codice Civile.
Tuttavia, sul termine dal quale iniziare a calcolare il lasso temporale entro il quale è possibile effettuare efficacemente la denunzia dei vizi e difetti, la giurisprudenza non è del tutto univoca. Se, infatti, per i vizi e difetti facilmente apprezzabili a prima vista, il termine va evidentemente fatto decorrere dalla data di consegna dell’opera, per quelli non immediatamente visibili – i cosiddetti vizi occulti – la questione si complica.
Parte della giurisprudenza, infatti, ritiene che la decorrenza del termine per la denuncia vada calcolata dal giorno in cui il committente raggiunge un ragionevole grado di imputabilità della responsabilità in ordine al danno patito. In alcune occasioni, tuttavia, la Corte di Cassazione Civile ha ritenuto che questo grado di conoscenza si possa raggiungere non prima del deposito di una consulenza tecnica d’ufficio ordinata dal Tribunale competente su istanza della parte.
Si consiglia, pertanto, di rivolgersi ad un legale per esaminare approfonditamente la questione.
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