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Categoria: Contratti

Articoli di contratti


L’accordo di gestione di reparto tra appalto e locazione

DOMANDA: Ho dato in locazione un negozio ad un imprenditore, che ha aperto un piccolo supermercato. Al suo interno ha affidato un reparto, quello della rivendita di pane, ad un altro soggetto. Può farlo? Non si tratta di sublocazione?

COSA DICE LA LEGGE: Anzitutto va detto che qualora il contratto di locazione ad uso commerciale non vieti espressamente la sublocazione, il conduttore del negozio potrà, in ogni caso, sublocarlo, tutto o in parte, ad altro soggetto. La legge, infatti, concede ampia libertà all’imprenditore di sviluppare la propria attività produttiva, e pertanto non è richiesto un previo consenso da parte del proprietario.

Qualora, invece, il suo contratto di locazione espressamente vieti la sublocazione, occorre cercare di comprendere se la fattispecie in esame possa rientrare o meno in questo alveo.

Ebbene, il contratto di gestione di reparto è un contratto atipico, e come tale non è possibile fornirne a priori una collocazione giuridica, a differenza, ad esempio, di quello di locazione o di quello di appalto. Pertanto, è necessario esaminare il caso specifico per poter fornire una risposta precisa.

Utile, in questo senso, è sicuramente esaminare le modalità attraverso cui si sviluppa il rapporto. Se, ad esempio, l’incasso dei corrispettivi delle vendite effettuate nell’area oggetto di contratto è effettuato direttamente dall’affidante, che si occuperà poi di girare quanto di spettanza all’affidatario, allora si potrà sicuramente ritenere che il contratto sia assimilabile ad una sorta di appalto di servizi. In tal caso apparirebbe difficile configurare una ipotesi di sublocazione.

Qualora, invece, gli incassi siano appannaggio diretto dell’affidatario, parrebbe di trovarsi in un ambito per molti versi assimilabile all’affitto di azienda o al contratto di locazione. Anche se, ancora una volta, non possono non evidenziarsi alcune criticità, prima fra tutte la mancanza di un accesso autonomo all’area oggetto di affidamento e la necessità per quest’ultima di soggiacere agli orari del negozio principale.

Il consiglio, pertanto, è quello di richiedere l’intervento di un legale per esaminare i fatti della controversia.

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Il patto di prelazione volontaria senza termine e senza approvazione specifica

DOMANDA: Ho sottoscritto un contratto di fornitura, che si conclude a fine anno, con un’azienda di servizi. Al termine del contratto vorrei passare ad un altro operatore, ma il contratto che ho firmato prevede un diritto di prelazione in favore del mio attuale fornitore, qualora quest’ultimo riesca a pareggiare l’offerta di quello nuovo con cui andrei a concludere l’accordo. E francamente vorrei liberarmi di questo fornitore con cui non mi trovo da un punto di vista personale. Non sono indicati termini di esercizio del diritto di prelazione e mi chiedevo, quindi, se potrò mai liberarmi da questo vincolo.

COSA DICE LA LEGGE: Purtroppo per lei la clausola di prelazione priva dell’indicazione di un termine entro il quale esercitare il diritto in questione è comunque valida. Anche nell’ipotesi in cui, ad esempio, lei si prendesse una pausa, più o meno lunga, tra la conclusione del contratto con il vecchio fornitore e l’avvio di quello con il nuovo operatore.

Infatti, il patto di prelazione stipulato senza limiti di tempo non ricade nel divieto di rapporti obbligatori che tolgano senza limitazioni cronologiche all’avente diritto la facoltà di disporre dei propri beni e/o diritti, in quanto tale patto non comporta l’annullamento della facoltà in parola, restando sempre il soggetto interessato perfettamente libero di disporre o meno dei suoi beni ed alle condizioni che meglio preferisce.

In buona sostanza, per la giurisprudenza si tratta semplicemente di un mero limite riflettente la libera scelta della persona del contraente, la quale, almeno nella normalità dei casi, a parità di tutte le altre condizioni, è indifferente per l’interessato (vedi Cass. Civ. Sent. n. 15709 del 21 giugno 2013).

Sempre per questa ragione, non è nemmeno previsto che la clausola sia approvata specificatamente mediante la cosiddetta ‘doppia firma’ di cui all’art. 1341, Cod. Civ., in quanto non vi è, di fatto, alcuna limitazione della libertà contrattuale che abbia i caratteri della vessatorietà.

Per un parere esaustivo occorre, in ogni caso, far esaminare il contratto a cui lei fa riferimento da un legale.

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Avvocati e obbligo di preventivo nei confronti del cliente

DOMANDA: Ho affidato una pratica ad un avvocato, che ha cominciato a lavorare scrivendomi un parere e mandando una lettera per mio conto. Ma, nonostante glielo abbia domandato a più riprese, ancora non mi ha fatto sapere il suo compenso, dicendomi che faremo i conti alla fine. Io vorrei però sapere anticipatamente quanto andrò a pagare. Cosa posso fare per evitare brutte sorprese?

COSA DICE LA LEGGE: Il suo avvocato è obbligatoriamente tenuto a formularle un preventivo scritto, il quale deve contenere la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale. Lo stabilisce espressamente la legge 04 agosto 2017, n. 124, e si tratta, per inciso, di obbligo che interessa non solo i legali, ma in generale tutte le professioni regolamentate, quali, a mero titolo di esempio, commercialisti, consulenti del lavoro, architetti, ecc…

Non solo. Qualora l’attività richiesta all’avvocato sia di tipo contenzioso, questi dovrà corredare il preventivo anche di un parere in ordine alla prevedibile durata dell’eventuale causa, ai rischi di soccombenza e agli eventuali costi che il cliente andrebbe a sopportare qualora l’azione promossa con il legale non dovesse andare a buon fine.

Infine, nel preventivo l’avvocato dovrà indicare anche gli estremi della propria polizza per la responsabilità professionale.

Attenzione, però: la mancata redazione di un preventivo non determina automaticamente il venir meno del diritto al compenso per l’avvocato, il quale dovrà a quel punto essere rideterminato dal Giudice investito della causa.

Più stringente, invece, il rischio per il professionista qualora questi non abbia sufficientemente illustrato al proprio cliente i rischi di una azione giudiziale, in caso di successiva soccombenza. In tale circostanza, infatti, potrebbero configurarsi problemi di responsabilità professionale e conseguenti obblighi risarcitori.

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Voucher rimborso spettacoli ed illegittimità del Decreto Cura Italia

DOMANDA: Qualche tempo fa ho acquistato, a caro prezzo, il biglietto per un concerto che doveva tenersi a fine marzo 2020 e che è stato annullato a causa del Coronavirus. Ho chiesto il rimborso del prezzo e l’organizzatore mi ha risposto che ho diritto solo ad un voucher di pari prezzo, da utilizzare entro un anno. Ora, a parte che ho pagato talmente tanto che sicuramente non andrei a coprire la spesa con altri concerti, a me non interessano altri spettacoli. Cosa posso fare?

COSA DICE LA LEGGE: E’ sicuramente vero che il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, cosiddetto “Cura Italia”, all’art. 88, comma 3, stabilisce, in estrema sintesi, quanto segue: colui che ha venduto in prevendita un biglietto di ingresso ad uno spettacolo annullato causa Coronavirus, entro 30 giorni dalla presentazione della relativa istanza di rimborso del ticket, può emettere un voucher di pari importo al biglietto acquistato, da utilizzare entro un anno dall’emissione. Sempre la disposizione di legge prevede che la richiesta di rimborso sia presentata dall’acquirente/consumatore entro 30 giorni a decorrere dal 17 marzo 2020.

Quindi, a rigor di logica, avrebbe ragione l’organizzatore del suo evento nel fornirle la risposta che lei ha ricevuto.

Tuttavia, a parere di chi scrive, la norma in questione è del tutto illegittima, e come tale dovrà essere giocoforza ampiamente emendata dal Legislatore. Probabilmente del tutto cancellata. Va considerato, infatti, che l’articolo in esame è inserito in un decreto legge. E i decreti di questo tipo, per non perdere efficacia, devono essere convertiti in legge entro 60 giorni dalla loro entrata in vigore.

Ora, ai fini della conversione in legge, il decreto “Cura Italia” non dovrà evidentemente recare con sé norme illegittime o comunque contrarie ad altre norme imperative di legge. Tra queste, venendo al caso in esame, sicuramente non si potrà non tenere in considerazione quanto previsto dal Codice Civile, all’art. 1463, in materia di impossibilità totale sopravvenuta.

La norma, in particolare, stabilisce che nei contratti a prestazioni corrispettive – nel caso di specie acquisto di un biglietto a fronte di controprestazione costituita dallo svolgimento di uno spettacolo – la parte (organizzatore) impossibilitata, per fatti sopravvenuti, ad eseguire la controprestazione costituita dalla messa in scena dello spettacolo, dovrà restituire quanto già ricevuto.

Va, conseguentemente, reso per intero l’importo pagato per l’acquisto in prevendita del biglietto.

Perché allora, il Governo ha emanato una norma di questo tipo, pur sapendo che evidentemente non supererà il vaglio del Parlamento?

La risposta sta nelle tempistiche inserite nell’articolo in esame. Vediamo perché.

Il Decreto “Cura Italia” incentiva il consumatore a formulare richiesta di rimborso entro 30 giorni dal 17 marzo 2020. Il venditore ha poi ulteriori 30 giorni per procedere all’emissione del voucher. Ora, 30 + 30 da un totale di 60 giorni, ovverosia proprio il termine massimo di efficacia del decreto legge, quantomeno per quanto riguarda questa contestata norma.

Il rischio, quindi, qual è?

Che molti consumatori, spaventati dal rischio di perdere tutto, si affrettino a richiedere il rimborso entro il 16 aprile 2020, e gli organizzatori – nella vigenza del decreto legge “Cura Italia” – potranno, così, limitarsi ad emettere un voucher, senza quindi concreto esborso di denaro.

Tuttavia è altrettanto evidente il nocumento patito dal consumatore che non potrà godere dell’esatta prestazione per cui originariamente aveva pagato.

E allora che fare?

Una soluzione che il consumatore può adottare – ovviamente consapevole del fatto che in sede di conversione in legge del decreto “Cura Italia” tutto potrà evidentemente accadere, sia in senso positivo che negativo per gli interessi dell’acquirente della prevendita – potrebbe essere proprio quella di…attendere. Verificare cioè quale sarà la sorte, in Parlamento, dell’art. 88 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020, e poi procedere alla richiesta di rimborso. D’altra parte, la norma in esame non pone limiti temporali, al di là degli ordinari termini di prescrizione ben più lunghi di 30 giorni, per la richiesta di rimborso.

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Cosa accade se salta l’intrattenimento musicale al matrimonio

DOMANDA: Alla mia festa del matrimonio è successo un inconveniente. Avevo ingaggiato un musicista per venire a suonare, e il giorno prima della cerimonia mi ha chiamato per dirmi che si era fatto male e non poteva essere presente. A quel punto non ho potuto avere nessun intrattenimento musicale perché con il poco tempo a disposizione era impossibile trovare un sostituto. Non ho purtroppo nulla di scritto. Posso fare qualcosa?

COSA DICE LA LEGGE: Sulla base della sommaria descrizione dei fatti parrebbe possibile, nel suo caso, agire per ottenere un risarcimento dei danni, quantomeno in via equitativa, e questo indipendentemente dal fatto che il contratto tra lei ed il musicista non fosse stato redatto in forma scritta, a condizione, però, che lei possa provare in altro modo – ad esempio sms, WhatsApp, e-mail, tutt’al più testimoni – che tra voi vi fosse un preciso accordo.

Il contratto tra voi intercorso va, infatti, annoverato tra quelli di prestazione d’opera, di cui all’art. 2222 e seguenti del Codice Civile, e non prevede obbligatoriamente la forma scritta. E’, pertanto, sufficiente l’intesa orale tra le parti sugli aspetti principali dell’accordo – oggetto della prestazione, data e luogo di svolgimento, prezzo convenuto –.

Ad avvenuta conclusione dell’accordo, pertanto, il prestatore d’opera, nella fattispecie il musicista, si sarà obbligato, a titolo oneroso, a svolgere una determinata prestazione in un ben preciso luogo ed orario a fronte di un corrispettivo. Se, per una qualunque ragione, il musicista non dovesse poi adempiere a questo obbligo, il contratto potrà essere risolto, e il committente, oltre a non pagare evidentemente alcun corrispettivo, potrà richiedere il risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 1453, primo comma del codice civile.

Stesso discorso varrebbe nell’ipotesi contraria, ovvero nel caso in cui fosse ad esempio saltato il matrimonio.

Certo, qualora il musicista l’avesse avvisata con congruo anticipo, sarebbe stato suo onere reperire un altro intrattenimento musicale, e questo ai sensi dell’art. 1227 del Codice Civile, che impone al potenziale danneggiato di fare il possibile per diminuire, meglio ancora eliminare, l’ammontare del danno.

Ma nel suo caso specifico, un solo giorno di anticipo rispetto all’evento appare un termine davvero troppo esiguo, soprattutto perché il musicista non le ha nemmeno offerto, a quanto pare, un proprio sostituto di pari livello.

Potrebbe, infine, essere complicato provare l’ammontare del danno da lei patito, e si ritiene che, sul punto, il giudice potrà pronunciarsi, semmai, soltanto con valutazione equitativa ai sensi degli articoli 1226 del Codice Civile e 432 del Codice di Procedura Civile.

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Inquilino non paga l’affitto e adesso è anche morto

DOMANDA: Ho affittato un appartamento ad un privato. Non mi ha pagato numerosi affitti e spese condominiali, e adesso è anche morto. Non ha eredi o comunque mi risulta che nessuno ha accettato l’eredità. Come faccio a rientrare in possesso delle chiavi dell’abitazione? E a recuperare i soldi che avanzo? (altro…)

Mancata consegna del premio nel crowdfunding

DOMANDA: Ho finanziato online un progetto di crowdfunding per la realizzazione di un gadget tecnologico. Al raggiungimento dell’obiettivo di donazioni prefissato, avrei dovuto ottenere un piccolo regalo come ricompensa per la mia donazione.
Nonostante il soggetto finanziato abbia raggiunto il plafond che si era prestabilito, il premio non mi è mai arrivato. Cosa posso fare? (altro…)

Divieto per l’avvocato di domandare percentuali su quanto pagato dalla Compagnia Assicurativa

DOMANDA: Ho avuto un incidente in auto e ho affidato la pratica ad un avvocato, che ora mi chiede di pagargli la percentuale su quanto ho preso dall’assicurazione a titolo di compenso. E’ corretto?

COSA DICE LA LEGGE: No, non è corretto. (altro…)

Rischi nel Crowdfunding con clausola All or Nothing

DOMANDA: Vorrei partecipare ad un finanziamento online di crowdfunding per la realizzazione di un bene tecnologico. L’azienda che lo realizzerà mi promette che mi consegnerà uno di quei beni non appena raggiungerà l’obiettivo di finanziamento e li metterà in produzione.

La campagna di finanziamento, inoltre, prevede la clausola “All or nothing”. Cosa significa? (altro…)

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