Il mancato utilizzo del marchio comporta decadenza dal diritto esclusivo di usarlo
DOMANDA: Ho un piccolo progetto imprenditoriale che prevede la commercializzazione di un prodotto vintage che riprende nome e marchio di un vecchio oggetto, ormai non più commercializzato da tempo, e appartenuto a una società che mi risulta non essere più esistente. Volevo capire se posso avvalermi di questo marchio, o se devo chiedere determinate autorizzazioni.
COSA DICE LA LEGGE: Dal tenore della domanda parrebbe che sia possibile, in linea di principio, utilizzare il marchio a cui si fa riferimento. Occorre, tuttavia, effettuare alcune doverose precisazioni e, in ogni caso, è necessario effettuare prodromiche ricerche.
L’art. 24 del Codice della Proprietà Industriale (D.Lgs. n. 30/2005), infatti, stabilisce al primo comma che a pena di decadenza il marchio deve formare oggetto di uso effettivo da parte di colui che lo abbia registrato o dai suoi licenziatari, entro cinque anni dalla registrazione, salvo che il mancato uso non sia giustificato da un motivo legittimo.
La norma è volta a scongiurare pratiche imprenditoriali scorrette, finalizzate ad impedire ai terzi l’utilizzo di marchi, mediante registrazioni a tappeto su varie classi merceologiche, senza che a queste corrisponda una concreta finalità commerciale.
Attenzione, però. Anche il marchio decaduto per mancato uso può essere riattivato dal soggetto che lo aveva originariamente registrato, peraltro con efficacia sanante rispetto al passato, se nel frattempo non sia intervenuta pronuncia giudiziale dichiarativa della decadenza del marchio in parola.
Appare, pertanto, necessario svolgere opportune ricerche per capire se il marchio sia stato effettivamente inutilizzato per un lungo periodo, se vi sia ancora un titolare del marchio registrato, e se si renda, in ogni caso, necessario ottenere un provvedimento da parte del Tribunale che acclari l’avvenuta decadenza del marchio stesso.
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Quanto il design degli interni è tutelabile
DOMANDA: Ho un negozio di arredamento, e per l’allestimento degli interni del mio showroom ho scelto uno stile molto particolare e riconoscibile. Ho scoperto per caso che un altro negozio, seppur situato in un’area geografica molto lontana, ha letteralmente copiato le mie idee. Ho diritto a chiedere loro di rimuovere gli elementi che riconducono a quel che ho fatto io?
COSA DICE LA LEGGE: Una risposta precisa alla sua domanda potrà essere formulata solo a seguito di un attento esame del caso da lei descritto. In particolare, andrà verificato se, per quanto riguarda l’arredamento di interni, le sue scelte di design siano riconducibili ad un preciso stile, valutabile in sé e per sé e come tale, eventualmente, riproducibile in altre sedi. Come avviene, ad esempio, nel caso degli allestimenti di alcune catene di negozi in franchising, nelle quali la composizione dell’arredamento e dei motivi ornamentali è sempre la stessa e prescinde dalle peculiarità della singola struttura –.
Oppure se sono la conseguenza di un processo di adattamento delle intuizioni, in termini di interior design, alle caratteristiche architettoniche del suo negozio.
Nel primo caso, infatti, si potrà certamente parlare di vera e propria “opera di architettura”, in quanto tale certamente tutelabile, come affermato espressamente dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 8433 del 30 aprile 2020.
La giurisprudenza, in buona sostanza, ha stabilito che in tema di diritto d’autore, un progetto o un’opera di arredamento di interni, nel quale ricorra una progettazione unitaria, con l’adozione di uno schema in sé definito e visivamente apprezzabile, che riveli una chiara ”chiave stilistica”, di componenti organizzate e coordinate per rendere l’ambiente funzionale ed armonico, ovvero l’impronta personale dell’autore, è proteggibile quale opera dell’architettura, ai sensi dell’art. 5, n. 2, della Legge sul Diritto d’Autore, alla voce “i disegni e le opere dell’architettura“), non rilevando il requisito dell’inscindibile incorporazione degli elementi di arredo con l’immobile o il fatto che gli elementi singoli di arredo che lo costituiscano siano o meno semplici ovvero comuni e già utilizzati nel settore dell’arredamento di interni, purché si tratti di un risultato di combinazione originale, non imposto dalla volontà di dare soluzione ad un problema tecnico-funzionale da parte dell’autore.
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COSA DICE LA LEGGE: No, in linea generale tale pratica, altresì nota come “embedding”, non costituisce violazione del diritto d’autore. (altro…)