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Categoria: Diritto penale

Articoli di diritto penale


Reato di molestie spiare continuativamente il vicino a casa propria

DOMANDA: Con i primi soli estivi ho deciso di prendere il sole in terrazza. Purtroppo, ormai da due settimane il mio vicino di casa rimane appostato per lungo tempo, anche ore, al balcone a guardarmi. La cosa mi provoca un enorme imbarazzo, e mi sono lamentata. Mi ha ignorato e continua a farlo. Non voglio essere costretta a chiudermi dentro casa. Cosa posso fare?

COSA DICE LA LEGGE: Se il comportamento del suo vicino è ripetuto e volontariamente posto in essere, si configura il reato di molestie, previsto e punito dall’art. 660 del Codice Penale, con l’arresto fino a sei mesi e con una ammenda.

La Cassazione penale, con la sentenza n. 15450 dell’08/03/2011 ha avuto modo di applicare concretamente la fattispecie, stabilendo che integra il reato di molestia o disturbo alle persone la condotta di chi, posizionandosi su di un terrazzo posto a breve distanza dall’appartamento abitato dai vicini, scruta in continuazione all’interno di esso, costringendo le parti offese a chiudere le tende e accendere la luce anche di giorno.

Pare esser questo il caso da lei prospettato, e pertanto il consiglio è di diffidare il suo vicino e, in caso di perdurante comportamento illegittimo, depositare una querela nei suoi confronti, entro il termine di legge di 90 giorni dal fatto, per il reato sopra indicato.

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Criticare la concorrenza può essere diffamazione

DOMANDA: Ho una pizzeria da asporto, e non è la prima volta che sento un commerciante mio concorrente che critica i miei prodotti davanti a propri clienti, ma anche passando di fronte al mio negozio. A me francamente la cosa non va giù, e gliel’ho fatto presente. Lui dice che è libero di esprimere la sua opinione. Ha ragione?

COSA DICE LA LEGGE: Il comportamento del suo concorrente configura potenzialmente il reato di diffamazione. Soprattutto se le critiche ai suoi prodotti assumono il carattere della quotidianità e si spingono, come da lei indicato, ad una presenza di questo ristoratore persino in luogo limitrofo alla sede del suo esercizio commerciale.

Interessante, in questo senso, una recentissima sentenza della Corte di Cassazione Penale (n. 13241/2020 del 29 aprile 2020) che ha condannato per diffamazione un gelataio che aveva definito il prodotto del suo concorrente “insoddisfacente” e “cattivo al gusto”. In particolare, sono stati comminati 250 euro di multa e la condanna ad un risarcimento di 2000 euro in favore del soggetto diffamato. Nel caso di specie, tuttavia, ha certamente avuto un peso non indifferente, ai fini della decisione, la sistematicità dei comportamenti tenuti.

Occorre, pertanto, valutare con attenzione, con l’ausilio di un legale, la singola fattispecie, onde verificare la sussistenza di profili penalisticamente rilevanti.

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Le lamentele plateali in un pubblico ufficio sono reato

DOMANDA: Sono una dipendente pubblica che lavora allo sportello. Ieri ho subito una vera e propria aggressione verbale da parte di un utente che si è lamentato in maniera plateale delle lungaggini dell’ufficio, attaccando con la solita solfa che i dipendenti pubblici rubano solo soldi. Ci sono voluti venti minuti e tutto il personale dell’ufficio per calmarlo. Trovo, però, molto scorretto questo atteggiamento. Posso denunciarlo?

COSA DICE LA LEGGE: L’utente di cui parla è passibile di denuncia per interruzione di pubblico servizio, ai sensi dell’articolo 340 del Codice Penale.

La norma in questione, in particolare, punisce con la reclusione fino ad un anno di carcere, il soggetto che, con il proprio comportamento, abbia determinato una interruzione, o comunque turbato la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità.

Recentissima, in questo, senso la sentenza n. 12986/2020 della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, che ha comminato 20 giorni di reclusione un uomo, che all’interno di un Ufficio Inps in Sicilia.

Questi, infatti, si legge nella pronuncia si era lamentato ad alta voce con modi aggressivi nei confronti di alcuni dipendenti dell’istituto previdenziale per le tempistiche di liquidazione della propria indennità.

L’uomo aveva provato a difendersi parlando di mero trambusto transitorio, ma in corso di causa era stata provata la presenza in loco di circa dieci persone che, a causa delle escandescenze del soggetto in questione, avevano dovuto attendere oltremisura il proprio turno, in quanto l’intero personale era stato costretto a lasciare la propria scrivania per riportare all’ordine la situazione.

La querela va depositata presso i competenti uffici entro 90 giorni dal fatto.

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Offese su WhatsApp tra ingiuria e diffamazione

DOMANDA: Qualche giorno fa ho avuto una discussione molto accesa con un amico in un gruppo di WhatsApp al quale partecipano molte persone. Sono volate parole grosse e molto pesanti, e ritengo di essere stato offeso pesantemente nella mia dignità, sotto gli occhi di tutti. La cosa mi ha causato molto disagio. Posso denunciare questa persona?

COSA DICE LA LEGGE: Nel caso descritto, indipendentemente dalla lesività delle parole profferite al suo indirizzo da questa persona, lei purtroppo non potrà agire penalmente per il reato di diffamazione. Potrà, tutt’al più tentare, con l’ausilio di un avvocato, un’azione di natura civilistica volta ad ottenere un risarcimento economico per il danno subito.

Occorre anzitutto effettuare una precisazione, che attiene alla differenza tra diffamazione ed ingiuria. La prima è quella che viene perpetrata mediante comunicazione con altri soggetti, in assenza del soggetto diffamato. L’ingiuria, invece, si verifica allorquando le offese vengono rivolte direttamente al destinatario, alla presenza di quest’ultimo. La diffamazione è un reato penale. L’ingiuria non più, essendo stata depenalizzata da alcuni anni. Il discorso vale, a maggior ragione, anche nell’ambito di sistemi di comunicazione che possono coinvolgere, contemporaneamente, più soggetti, quali ad esempio WhatsApp, Telegram, Facebook, Skype, ecc…

In buona sostanza, lei avrebbe potuto agire in sede penale, mediante querela, solo qualora nel momento in cui erano state inviate le frasi offensive al suo indirizzo, lei non fosse stato presente ed attivo in chat, magari venendone a conoscenza solo a distanza di ore. Ma non pare questo il caso proposto.

Sul punto è intervenuta anche una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 10905 del 31 marzo 2020, che ha definitivamente chiarito alcuni dubbi sul punto.

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Le sanzioni per violazione misure di contenimento Coronavirus

DOMANDA: Sono il gestore di un locale. Ho in programma per sabato 29 febbraio un grosso evento. Se adesso lo annullo a causa delle misure restrittive adottate per far fronte al Coronavirus avrò delle penali da pagare, senza tacere dei mancati incassi. Se decidessi di contravvenire agli obblighi di chiusura, cosa rischio?

COSA DICE LA LEGGE: Nella sua domanda non è specificato dove si trovi il locale, se in uno dei comuni della cosiddetta “zona rossa”, ovvero dove vi siano conclamati casi di Coronavirus, o più genericamente in una delle regioni dove si è diffuso il contagio. Ad ogni modo, il Decreto Legge n. 6 del 23 febbraio 2020, ad un primo esame ed in relazione al quesito proposto, offre indicazioni molto blande e che si adattano alla più libera interpretazione. L’art. 1 stabilisce genericamente che le autorità competenti debbano assumere qualunque misura di contenimento “proporzionata” (?) all’evolversi della situazione, in tutte quelle “aree” – ma non è chiara l’estensione territoriale – dove sia presente una persona ammalata e di cui non si conosca la provenienza del contagio, andando poi ad elencare una serie di esempi di provvedimenti adottabili.

In buona sostanza, il decreto legge n. 23/2020 va nella direzione contraria rispetto all’esigenza, espressa dal Governo, di adottare in ambito locale misure comuni e coordinate, poiché il dettato normativo lascia, per contro, ampio spazio alla normazione secondaria da parte degli enti territoriali.

Le sanzioni per i trasgressori: l’art. 3 prevede, previa, fatto salvo che il fatto non costituisca più grave reato, che il mancato rispetto delle misure venga sanzionato, ex art. 650, Cod. Pen., con l’arresto fino a 3 mesi e la pena pecuniaria di € 206,00. Si tratta, va detto, di una sanzione per la quale è prevista l’oblazione, ovvero il pagamento di una somma a completa estinzione della fattispecie, circostanza questa che, per molti versi, indebolisce, e di molto, la coercitività dei provvedimenti.

Quanto all’accezione del “più grave reato” sembrano a prima vista non applicabili le norme penali sui delitti colposi contro la salute pubblica, mentre andrà evidentemente prestata attenzione ai regolamenti emanati da regioni e comuni.

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Violenza psicologica a scuola

DOMANDA: Nel caso di violenza psicologica da parte di un professore di scuola verso il suo alunno cosa dice la legge? Quali sono i modi per potersi difendere vista la nostra parola contro la loro?

COSA DICE LA LEGGE: Il Codice Penale, all’art. 571, ha espressamente previsto il reato di abuso di correzione o di disciplina.

La norma punisce con la reclusione fino a sei mesi chiunque abusi dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte.

Il comportamento illecito posto in essere in tal senso da un professore nei confronti di un proprio studente rientra a pieno titolo nella fattispecie succitata.

Appaiono necessarie, tuttavia, alcune brevi considerazioni.

Affinché l’azione sia coltivabile occorre che dal fatto sia derivato quantomeno il pericolo di un danno biologico per il soggetto che subisce la violenza, intendendosi anche le eventuali ripercussioni psicologiche.

In secondo luogo, va evidenziato che si tratta di un reato procedibile d’ufficio. Questo significa che dopo il deposito di una querela presso i competenti uffici (ad esempio Polizia, Carabinieri, Procura della Repubblica), il soggetto querelato potrebbe essere indagato e perseguito anche nell’ipotesi di successivo ritiro (remissione) della querela da parte del querelante.

Quanto al secondo quesito, va detto che sarebbe consigliabile anzitutto poter disporre di una perizia medica che acclari il danno biologico patito (fisico e/o psicologico) per poter dare opportuno ancoraggio probatorio all’azione penale. Questa circostanza già di per sé potrebbe essere sufficiente a sopperire ad eventuali carenze in termini di prova testimoniale.

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Ritiro patente e permesso orario di guida

DOMANDA: L’altra sera sono stato fermato per un controllo con etilometro e mi hanno trovato un tasso alcolico pari ad 1,3. Mi hanno ritirato la patente, e sono in attesa che la Prefettura mi comunichi la durata della sospensione. Ma mi trovo in grosse difficoltà con il lavoro perché faccio il rappresentante agente di commercio e ho bisogno dell’auto. Posso fare per farmi dare la patente ad ore?

COSA DICE LA LEGGE: La risposta è affermativa, quantomeno in linea di principio, ma con dei distinguo.

Occorre anzitutto essere tempestivi, e depositare la relativa istanza presso la Prefettura competente – i relativi moduli si trovano quasi sempre online sui siti dei singoli Enti – ovvero quella del luogo dove è stata rilevata la guida in stato di ebbrezza, entro 5 giorni dalla data del controllo. Il termine è tassativo ed improrogabile, ed è espressamente previsto dall’art. 218, comma 2, del Codice della Strada.

L’istanza non può essere proposta, o comunque non può essere accolta, se dalla violazione è derivato un incidente, anche se dalla sua descrizione non sembra, fortunatamente, essere questo il caso.

La richiesta deve essere motivata da esigenze di lavoro ed opportunamente documentata. Non è tuttavia possibile chiedere un permesso superiore alle tre ore giornaliere complessive, e va detto che qualora l’istanza sia accolta, la sospensione della patente di guida originariamente prevista dal Prefetto è aumentata di un numero di giorni pari al doppio delle complessive ore per le quali è autorizzata la guida, arrotondato per eccesso. L’istanza può essere concessa una sola volta.

In ogni caso, appare opportuno precisare che la decisione del Prefetto circa la concessione o meno del permesso è determinata in relazione alla gravità della violazione, al danno arrecato e al pericolo che l’ulteriore circolazione potrebbe cagionare. E, purtroppo per lei, la quasi totalità delle prefetture non concede permessi orari in caso di rilevazione di tasso alcolemico superiore a 0,8 g/l, per cui temo che nel suo caso non sia possibile ottenere quanto da auspicato.

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Stalking e tutela immediata

DOMANDA: Ultimamente il mio ex fidanzato mi invia una quantità ingestibile di messaggi, molto spesso con connotati offensivi e riferimenti a luoghi e persone che frequento, nonché minacce per allontanare il mio attuale compagno. Assillanti sono le molestie telefoniche e sovente si apposta all’ uscita del negozio presso il quale lavoro o sotto casa. (altro…)

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