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Risultati per: diritto di ripensamento

Wifi libero e violazione del copyright

DOMANDA:  Ho attivato nel mio locale un servizio di rete Wi-Fi gratuito, non protetto, per attirare nuovi clienti. (altro…)

Fissazione di un termine per l’accettazione dell’eredità

DOMANDA: A seguito della morte di un parente ho ereditato alcune somme di denaro. (altro…)

Durante la locazione il proprietario non deve conservare copia delle chiavi

DOMANDA: Qualche giorno fa il proprietario dell’appartamento in cui vivo in affitto, mi ha chiesto una copia delle chiavi della serratura di ingresso, che ho fatto cambiare poco tempo fa perché avevo smarrito quelle vecchie e non mi fidavo a lasciare il precedente blocchetto. Io non vorrei farlo, anche perché francamente non è che siamo proprio in buoni rapporti.

COSA DICE LA LEGGE: Lei può legittimamente rifiutare di consegnare una copia delle chiavi al proprietario dell’immobile da lei condotto in locazione in forza di regolare contratto.

Infatti, con la stipulazione del contratto di locazione, il locatario conduttore entra, di fatto, nel pieno possesso e libero godimento del bene immobile oggetto dell’accordo, con tutto quanto ne consegue anche in termini di inviolabilità del domicilio.

In questo senso si è espressa anche la giurisprudenza, seppur con sentenze ormai piuttosto risalenti (Cass. Pen. 14 febbraio 1978 n. 109), le quali hanno ribadito che il diritto all’inviolabilità del domicilio appannaggio del conduttore prevale su quella del locatore anche qualora quest’ultimo sia in grado di dimostrare la sussistenza di ragioni – ad esempio la manutenzione dell’immobile – che asseritamente lo legittimerebbero all’accesso.

Pertanto, il suo rifiuto appare legittimo e giustificato.

Va da sé che, per le medesime ragioni, al termine del contratto di locazione, lei sarà tenuto a riconsegnare al proprietario le chiavi, tutte comprese e nessuna esclusa, di accesso al bene.

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Ottenere la restituzione dei soldi dati a ex compagno convivente

DOMANDA: Ho convissuto per alcuni anni con il mio ex compagno. Durante la convivenza gli ho dato molti soldi perché era disoccupato. Ora la nostra storia è finita e io mi ritrovo senza nessun risparmio da parte, avendo utilizzato tutti i soldi per lui. Ho diritto di richiedere indietro queste somme di denaro piuttosto cospicue?

COSA DICE LA LEGGE: In linea di principio non le è precluso agire per la restituzione di queste dazioni di denaro effettuate in costanza di convivenza, ma questo a condizione che si tratti di importi talmente cospicui da eccedere quello che è il normale principio del mutuo soccorso, anche economico, da commisurarsi, peraltro, allo stile di vita tenuto dalla coppia.

Il principio lo si deriva da una costante applicazione da parte della Corte di Cassazione Civile dei principi desunti dall’art. 2034 del Codice Civile in materia di obbligazioni cosiddette naturali. Il primo comma, in particolare, stabilisce che non è ammessa la richiesta in restituzione di quanto sia stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali. Da ciò la Suprema Corte ha desunto l’assunto secondo cui una dazione di denaro al convivente more uxorio – ovvero non civilmente coniugati – configura il normale adempimento di una obbligazione naturale – e quindi non suscettibile di successiva restituzione – a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del soggetto che effettua l’elargizione (Cass. Civ. Sent. n. 3713/2003).

Di converso, un importo evidentemente maggiore rispetto a quello di cui ai principi sopra descritti, determina un vero e proprio arricchimento senza causa in capo al soggetto percettore degli importi, che in quanto tale può essere tenuto alla relativa restituzione (Cass. Civ. Sent. n. 11303/2020).

Occorre, pertanto, fare attenzione all’ammontare dell’importo da lei pagato, commisurandolo al tenore di vita. In questo senso, l’ausilio di un avvocato nell’esame della fattispecie appare indispensabile.

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Il locatore che accetta in anticipo la restituzione chiavi non rinuncia al preavviso

DOMANDA: Fino a qualche tempo fa abitavo in una casa in affitto. Poi ho deciso di comprare casa. Avevo un preavviso di sei mesi per lasciare l’appartamento, ma ho riconsegnato prima dei sei mesi le chiavi al proprietario, perché nel frattempo potevo già trasferirmi nella casa nuova. Il proprietario ha accettato le mie chiavi tre mesi prima della scadenza del preavviso che gli avevo dato. Ora, però, mi è arrivata una lettera in cui mi chiede i tre mesi ulteriori di preavviso. Può farlo?

COSA DICE LA LEGGE: Purtroppo per lei, la riconsegna delle chiavi al proprietario dell’immobile affittato in un momento precedente al termine del preavviso in caso di anticipata disdetta dal contratto di locazione, non costituisce, neppure implicitamente, rinuncia all’intera durata del periodo di preavviso. E ovviamente ai relativi canoni di locazione.

La giurisprudenza, in questo senso è pacifica, Il Tribunale Civile di Roma, ad esempio, con sentenza del 07 febbraio 2019 ha evidenziato che in tema di recesso, la sola circostanza che il locatore ed il conduttore, prima della fine della locazione, si siano accordati in merito alle modalità di riconsegna dell’immobile, non costituisce prova della risoluzione consensuale del contratto, e tantomeno della rinuncia del locatore all’indennità di mancato preavviso. Pertanto, la mera accettazione in restituzione delle chiavi dell’immobile locato non significa di per sé che il locatore abbia rinunciato al pagamento del corrispettivo per l’intera durata del periodo di preavviso al quale avrebbe avuto diritto per legge.

Pertanto, per le ragioni suesposte, è assai probabile che lei sia comunque tenuto a corrispondere le mensilità relative anche la periodo nel quale non ha goduto dell’immobile locatole – avendo nel frattempo restituito le chiavi – e ciò fino alla scadenza contrattuale del periodo di preavviso.

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Infedeltà coniugale e obbligo di mantenimento

DOMANDA: Sono sposato da vent’anni con mia moglie. Negli ultimi anni, però, la normale vita matrimoniale è venuta meno, pur continuando a vivere sotto lo stesso tetto. Lei ora sembrerebbe aver trovato un altro uomo, con cui ha iniziato una nuova relazione. Può essere l’occasione utile per chiedere la separazione ed evitare di pagare un mantenimento, poiché, a conti fatti, lei mi sta tradendo?

COSA DICE LA LEGGE: Purtroppo, dalla descrizione dei fatti, parrebbe che lei non possa domandare l’addebito della separazione e conseguentemente evitare di dover pagare un assegno di mantenimento a sua moglie, sempre che, ovviamente, sussistano i presupposti economici che lo giustificano.

Infatti, da una parte è sicuramente vero che in tema di separazione giudiziale dei coniugi si presume che l’inosservanza del dovere di fedeltà, per la sua gravità, determini l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, giustificando così, di per sé, l’addebito al coniuge responsabile.

D’altra parte, però, se il coniuge adultero riesce a dimostrare che la relazione extraconiugale non è stata la causa della crisi familiare, essendo questa già irrimediabilmente in atto, sicché la convivenza coniugale era ormai meramente formale, potrà scongiurare la pronuncia di addebito da parte del Tribunale adito (Corte di Appello di Cagliari, Sent. 869/2018).

In buona sostanza, affinché si possa parlare di addebitabilità della separazione, occorre che il tradimento sia causa, e non conseguenza, della crisi familiare, e non sembra questo il caso da lei proposto.

Vale la pena ricordare, da ultimo, che l’addebitabilità della separazione, che si verifica allorquando si riesce a dimostrare che la rottura del rapporto coniugale è stata cagionata da uno solo dei coniugi, determina in capo alla parte ritenuta responsabile la condanna al pagamento delle spese legali di causa, nonché la perdita di diritto all’assegno di mantenimento e dei diritti successori.

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Il contratto concluso da un solo comproprietario obbliga anche gli altri

DOMANDA: Alcune settimane ho formulato per iscritto una proposta di locazione commerciale ai tre comproprietari di un negozio che mi interessa. Mi ha risposto uno di loro firmando per accettazione la mia proposta. Ieri mi ha contattato un altro dei comproprietari dicendomi che non me lo affittano più perché hanno trovato da vendere l’immobile. Possono farlo?

COSA DICE LA LEGGE: Dalla descrizione dei fatti, parrebbe che lei abbia diritto ad agire nei confronti dei comproprietari dell’immobile al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo di concludere il contratto di locazione.

Con una sentenza emessa a Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione nel 2012 (la n. 11136/2012), infatti, la giurisprudenza ha chiarito che, in casi analoghi a quello proposto, vige la presunzione per cui il singolo comproprietario agisca sempre al fine di favorire l’arricchimento del patrimonio di tutti gli altri comproprietari, e quindi anche nel loro specifico interesse.

D’altra parte, l’altro contraente – in questo caso lei – non può certamente essere tenuto a conoscere le dinamiche interne ed i rapporti intercorrenti tra i singoli comproprietari, e conseguentemente la manifestazione di assenso alla conclusione del contratto da parte di uno solo dei locatori sarà sufficiente, non necessitando plurime sottoscrizioni.

La prima conseguenza è che eventuali divergenze circa l’amministrazione del bene in comproprietà potranno, semmai, trovare soluzione unicamente nel rapporto interno tra i singoli comproprietari, ma la circostanza non potrà certamente investire i diritti del conduttore.

Ma v’è di più. Proprio in quanto non firmatari del contratto di locazione, gli altri comproprietari non potranno neppure far valere nei confronti del conduttore eventuali diritti contrattuali, rimanendo quest’ultima facoltà appannaggio esclusivo del solo locatore firmatario.

Pertanto, si potrà, come anticipato, agire per ottenere l’adempimento del contratto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2932 del Codice Civile, e in questo senso si consiglia di rivolgersi ad un legale per approntare la migliore e più efficace azione giudiziale.

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Marito intesta immobile a moglie e ma poi si separano

DOMANDA: Mi sono recentemente separato da mia moglie. Eravamo in separazione dei beni. Alcuni anni fa con dei soldi ricevuti dai miei genitori ho acquistato un appartamento al mare che però ho intestato a mia moglie per questioni di reddito. Avevamo l’accordo verbale che me lo avrebbe restituito se le cose fossero andate male tra noi e glielo avessi chiesto indietro. Ma ora mi contesta la cosa e sostiene di averlo ricevuto in donazione da me. Cosa posso fare?

COSA DICE LA LEGGE: Lei può ottenere in giudizio il riconoscimento delle sue pretese, se riuscirà a provare l’esistenza tra di voi di un cosiddetto patto fiduciario, il quale prevedeva che sua moglie, a semplice sua richiesta, fosse tenuta a restituirle il bene immobile intestatole.

Se è vero, infatti, che i contratti aventi ad oggetto beni immobili devono avere la forma scritta ad sustantiam, ovvero a pena di nullità come stabilito dall’art. 1350 del Codice Civile – si pensi al contratto preliminare di compravendita, oppure al rogito notarile –, recentemente la Corte di Cassazione Civile, con una pronuncia peraltro a Sezioni Unite (la n. 6459/2020), ha fissato alcuni interessanti principi in materia di patto fiduciario. Ovvero di quell’accordo che si basa, giustappunto, sulla reciproca fiducia.

In particolare, la Corte ha chiarito che l’accordo concluso verbalmente tra le parti in forza del quale insorga da parte del fiduciario – in questo caso sua moglie – l’obbligo di procedere al successivo trasferimento al fiduciante – ovvero lei – è meritevole di tutela giuridica anche quando il diritto acquistato dal fiduciario per conto del fiduciante abbia natura immobiliare, ovvero l’appartamento di cui al suo quesito.

D’altra parte, proprio il legame affettivo e familiare tra le parti giustifica l’assenza di un documento scritto, essendo il patto fondato proprio sulla lealtà e fiducia reciproca. La giurisprudenza, peraltro, va anche oltre sostenendo che il patto in questione potrebbe anche non essere contestuale al rogito di acquisto dell’immobile, ma successivo.

Non si nega, tuttavia, che l’onere della prova rimane in capo al fiduciante, e proprio la mancanza di una forma scritta potrebbe costituire, all’atto pratico, un problema non indifferente. Proprio per questa ragione si ritiene che sia comunque necessario avvalersi in prima battuta del parere di un legale.

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Vizi e difetti di beni acquistati in asta giudiziaria

DOMANDA: Ho acquistato alcuni orologi in un’asta giudiziaria. Erano stati descritti nell’avviso d’asta come orologi automatici. Effettivamente lo sono, ma presentano dei difetti al loro interno che richiedono una manutenzione molto costosa, non giustificata dal prezzo di acquisto. Sono tutelato in qualche modo?

COSA DICE LA LEGGE: Purtroppo, nel caso da lei illustrato, nel quale i beni acquistati, seppur bisognosi di manutenzione, mantengono comunque le qualità in forza delle quali gli orologi erano stati acquistati, lei non potrà ricevere opportuna tutela e conseguentemente non potrà agire per la risoluzione del contratto o per la riduzione del prezzo di acquisto.

Infatti, l’art. 2922 del Codice Civile stabilisce espressamente che non ha luogo la garanzia per vizi della cosa, normalmente prevista dall’art. 1490 del Codice Civile, nella vendita forzata. E per vendita forzata si intende proprio la vendita all’asta a seguito di pignoramento mobiliare, oppure più in generale nella vendita di beni mobili gravati da pegno.

Non solo. E’ esclusa anche l’applicazione dell’art. 1497 del Codice Civile, il quale prevederebbe che nel normale contratto di compravendita, qualora la cosa venduta non abbia le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l’uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto.

Diverso è il discorso qualora si fosse in presenza del cosiddetto aliud pro alio. In tale caso si verifica allorquando il bene acquistato all’asta appartenga ad un genere del tutto diverso da quello indicato nell’ordinanza di vendita, o manchi in toto delle caratteristiche essenziali per poter proficuamente assolvere alla propria natura funzione economico-sociale. Ebbene, in dette circostanze si potrà agire per la risoluzione del contratto.

Vero è, tuttavia, che appare evidentemente buona norma esaminare con attenzione il bene per il quale si intende concorrere all’acquisto all’asta.

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Patrocinio a spese dello Stato

DOMANDA: Buongiorno, devo fare una causa ai miei fratelli per una eredità, ma sono disoccupato e non ho reddito. Come posso fare per avere l’avvocato d’ufficio?

COSA DICE LA LEGGE: Quello che lei definisce “avvocato d’ufficio” è, in questo specifico caso, il cosiddetto patrocinio a spese dello Stato. Ovvero quell’istituto che consente ai meno abbienti di poter agire in giudizio a tutela dei propri diritti per il tramite di un avvocato che sarà, poi, pagato direttamente dal Ministero di Giustizia.

La domanda si propone direttamente all’Ordine degli Avvocati territorialmente competente. Ovvero quello del luogo dove si dovrà tenere la causa, che spesso non coincide neppure con il luogo di residenza dell’interessato. Nell’istanza dovranno essere spiegate le ragioni della domanda giudiziale, affinché il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati possa effettuare una prima valutazione della possibile fondatezza, almeno potenziale, dell’azione giudiziale. Qualora, infatti, la causa fosse priva delle seppur minime basi giuridiche, sarà giocoforza negato l’accesso al patrocinio a spese dello Stato in favore del richiedente.

A corredo della domanda, l’istante dovrà allegare anche documentazione comprovante il proprio reddito, che non potrà essere superiore ad oggi, ad € 11.493,82. Non si contano, in questo caso, i dati del modello Isee. Nel computo del reddito si dovrà, altresì, tenere conto della somma dei redditi di tutto il nucleo familiare, così come risultante dal certificato di residenza e di stato di famiglia. Solo ed esclusivamente nell’ipotesi in cui la causa da intentare sia rivolta proprio nei confronti di uno degli altri soggetti del proprio nucleo familiare – ad esempio una causa di separazione giudiziale – si potrà non tenere conto del reddito complessivo dei conviventi sotto il medesimo tetto.

Va, inoltre, comunicata, tra l’altro, anche la proprietà, per intero o pro quota, di beni immobili.

In caso di accoglimento della domanda, l’interessato potrà poi scegliere di essere difeso da un qualunque legale, a condizione, però, che appartenga al medesimo foro dell’Ordine degli avvocati presso cui è stata presentata la domanda, e che sia iscritto alle apposite liste dei difensori abilitati alle difese con patrocinio a spese dello Stato, facilmente reperibili presso i siti dei vari Ordini.

Da evidenziare che i requisiti di reddito per usufruire del patrocinio a spese dello Stato dovranno permanere, annualmente, per tutta la durata dell’attività svolta dall’avvocato. Qualora, quindi, in corso d’opera il beneficiario, ivi compreso il suo nucleo familiare, dovesse sforare la soglia di reddito di cui sopra, perderà automaticamente il diritto acquisito e dovrà retribuire di tasca propria il legale. Occorre, quindi, prestare sempre grande attenzione, poiché il rilascio di dichiarazioni mendaci circa la propria capacità reddituale, oltre alla revoca del beneficio, determina conseguenze penali anche gravi.

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